Il mix tra scivoloni dell’amministrazione Trump, pandemia e general elections 2020 sta riportando a galla alcune annose questioni che affliggono la democrazia americana. Prima fra tutte la vetustà della Costituzione che, essendo stata scritta più di due secoli fa, si trascina dietro una moltitudine di difetti di fabbrica. Fra i preziosi poteri del Presidente, il più contestato sembra proprio essere quel pardon power, o potere di grazia che dir si voglia, che spesso ha generato imbarazzi e dubbi di costituzionalità come nel recente affaire Stone.

Il caso Stone

La condanna di Roger Stone era arrivata lo scorso febbraio, frutto dell’indagine sui legami tra Russia e il comitato elettorale di Trump. L’ex consigliere del Presidente era stato condannato a tre anni e quattro mesi per diversi capi di accusa tra i quali intimidazioni, falsa testimonianza di fronte al Congresso e intralcio alla giustizia. Lo scorso venerdì sera, mentre la stampa americana era ancora sonnecchiante, il colpo di teatro: la pena è stata commutata e Stone, pur restando colpevole, eviterà il carcere.

A seguito della commutazione di Trump, l’avvocato di Stone ha dichiarato la scorsa settimana che il suo cliente è stato “incredibilmente onorato del fatto che il presidente Trump abbia usato il suo eccezionale e unico potere ai sensi della Costituzione degli Stati Uniti per questo atto di misericordia”. Ad essere precisi, qui non si tratterebbe di grazia vera e propria (anche se i colpi di scena sono sempre dietro l’angolo): il gesto ha però aperto un profondo dibattito sull’essenza di questo grande potere che, nei fatti, mette nelle mani del Presidente il potere di cambiare il corso della giustizia, per giunta su un’indagine che lo riguarda personalmente.

Un potere usato più volte

L’articolo 2 della Costituzione americana, alla sezione 2, prevede che il Presidente “avrà il potere di concedere commutazioni di pene e grazie per offese contro gli Stati Uniti, salvi i casi di impeachment”. Lo speciale potere di graziare o commutare una pena è stato esercitato più volte dagli inquilini della Casa Bianca per sanare le sorti giudiziarie dei propri accoliti: quasi sempre provvedimenti “di mezzanotte”, ovvero approvati durante le battute finali di una presidenza per non essere sommersi dalle critiche dei detrattori e senza subire eventuali contraccolpi elettorali. Lo fece Bush padre per alcune condanne sullo scandalo Iran-Contra; lo imiterà poi Bill Clinton con il suo finanziatore Marc Rich, guadagnatosi l’appellativo di “fuggitivo più famoso al mondo”, graziato l’ultimo giorno del mandato nel 2001 nonostante fosse colpevole della più grande frode all’erario della storia americana.

Alla tentazione della commutazione cederà anche Bush figlio con il suo consigliere Lewis “Scooter” Libby, membro della Camelot neocons, coinvolto nel Cia gate che ebbe per protagonista la spia sotto copertura Valerie Plame. Libby fu processato e poi condannato da una corte federale a 30 mesi di prigione e 250 mila dollari di multa: l’intervento del Presidente gli permise di dover pagare solo quest’ultima senza fare un giorno di carcere. Appena due anni fa, con un atto esclusivamente simbolico (ed un messaggio ben preciso ai falchi di partito) il presidente Trump ha concesso la grazia vera e propria a Libby, che adesso può sfoggiare una fedina penale immacolata.

Il progetto dei Padri Fondatori

La Costituzione americana, nonostante i suoi due secoli e oltre di vita, sembra sempre, nella sua semplicità e brevità, essere capace di rispondere ad ogni esigenza della società americana. Tutto ciò che è stato un difetto di fabbrica è stato smussato, limato e accordato grazie ad un irrinunciabile Bill of Rights e ad una serie di emendamenti costituzionali. A queste novelle si è poi affiancata una Corte Suprema che si è sempre fatta interprete dei tempi contribuendo a fornire sempre nuove interpretazioni del diritto e della Costituzione stessa. Ebbene, oggi, i nodi vengono al pettine anche per l’articolo 2 e per il perdono presidenziale. Trump, con i suoi modi istrionici, l’aggiramento di pratiche consuetudinarie e l’abuso delle prerogative presidenziali è solo la punta dell’iceberg, e la pratica ai sensi dell’art. 2 lo accomuna a numerosi predecessori bipartisan.

La singolarità di questa prerogativa sta nello stesso impianto costituzionale. Quando i Padri costituenti si scontrarono sull’impronta da dare alla nuova Nazione concordavano sulla comune idea di evitare un nuovo Re Giorgio. Non a caso il Congresso, non il Presidente, può dichiarare guerra ed egli deve ottenere l’accordo del Senato per nominare funzionari o stipulare trattati vincolanti. Tuttavia, quel pezzetto di articolo 2 è uno dei pochi passaggi in cui un Presidente può agire da cane sciolto. Perché lo fecero? Indubbiamente, pur volendo evitare una deriva monarchica, la monarchia costituzionale inglese restava il principale modello su cui i Costituenti si erano formati e l’idea di riprodurre il potere di grazia del Re sembrò comunque una scelta sensata. A ciò si aggiungeva la logica eminentemente puritana di cui erano pervasi che considerò questo potere come un esercizio alto di misericordia, in grado di cambiare il destino di un individuo senza pregiudicare la Nazione. Per questo, infatti, si aggiunse in via cautelativa l’idea che il perdono presidenziale fosse escluso nei casi di impeachment: anche questo meccanismo, però, ha mostrato quanto sia manipolabile e funzioni poco.

Un emendamento necessario

Ad oggi, di fatto, proibire politicamente e istituzionalmente l’abuso di tale potere è impossibile. Dopo l’ordine di clemenza per Stone, la portavoce della Camera Nancy Pelosi ha suggerito che il Congresso dovrebbe trovare una soluzione legislativa a tali abusi: soluzioni alternative ad un emendamento, però, ve ne sono ben poche. C’è poco che il Congresso possa formalmente fare per limitare il potere di perdono, a parte modificare la Costituzione stessa.

L’ispirazione potrebbe provenire dalla legislazione dei singoli Stati, dove il pardon del Governatore è imbrigliato in un meccanismo di garanzie che ne limita l’abuso come avviene in Texas, Kansas o California. Una delle ipotesi più suffragate sarebbe quella di subordinare il perdono ad un voto del Congresso, che riscriverebbe i rapporti di forza previsti dai check and balances.

In ogni caso, l’ipotesi migliore è quella di imbrigliare l’abuso del pardoning in un nuovo e rinegoziato meccanismo costituzionale senza passare da riforme farraginose, proposte pronte ad impantanarsi e senza accendere lo scontro bipartisan: un emendamento resta, ancora oggi, la forma più sana ed efficiente per oliare la macchina costituzionale, esattamente come accadde per la schiavitù.

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