Volodymir Zelensky ha segnalato un’ampia lista dei desideri e dei timori nel suo intervento alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza in cui ha pronunciato il suo discorso-manifesto sulla libertà dell’Ucraina. Discorso che si conclude con un’ampia lista dei desideri e delle domande aperte su ciò che il presidente ucraino ritiene fondamentale per assicurare la libertà e la prosperità di Kiev negli anni e nei decenni a venire.

L’ex attore diventato capo di Stato si trova a dover gestire uno Stato amputato territorialmente non solo della sua proiezione nel Mar Nero, la Crimea, ma anche della sua “Lombardia”, il Donbass che nel 2014 forniva oltre un quinto del suo Pil e che Vladimir Putin ha di fatto privato alla disponibilità ucraina riconoscendo l’indipendenza dei secessionisti di Donetsk e Lugansk.

Un primo punto chiave sottolineato da Zelensky è di natura economica. Il presidente chiede a Stati Uniti ed Europa di “sostenere la trasformazione della nazione. Stabilire un Fondo per la Stabilità e la Ricostruzione dell’Ucraina”. Comprendiamo il suo timore. Il rischio di governare sulle macerie di un Paese a pezzi emerge dagli studi di Vox Ukraine, che hanno recentemente permesso di sottolineare come l’Ucraina nel periodo 2014-2017 abbia perso una quota di crescita della ricchezza dei suoi cittadini pari al 15% del valore del Pil pro capite nazionale dopo la secessione dei filorussi. E questo è un primo punto fondamentale da sottolineare per capire come il Paese rischi l’osso del collo. Da 190 miliardi di dollari nel 2013, il Pil ucraino è sceso a 155 nel 2020 (-22,06%), un tracollo notevole. In caso di ritorno del Donbass sotto controllo ucraino, le stime più probabili parlano di un possibile conto da oltre 20 miliardi di dollari per la ricostruzione e il nuovo legame della regione alla madrepatria che Kiev difficilmente ora sopporterebbe in solitaria.

Aggiungiamo a questo un altro fattore: la perdita degli introiti energetici legati alle royalties e al transito dell’oro blu russo. Secondo Energy Information Administration (Eia) l’Ucraina è dipendente dal gas per il 33% del suo fabbisogno. E nel gestire il rapporto con Mosca “l’Ucraina ha un numero esiguo di frecce al proprio arco. Storicamente Kiev ha importato la maggior parte del suo gas naturale da Mosca (circa il 30% del fabbisogno), attraverso due principali gasdotti”, nota l’Ispi in un suo studio. Inoltre, “nel 2014, l’Ucraina ha interrotto le importazioni dirette di gas naturale russo e le ha sostituite con quello europeo proveniente da Paesi che non sono produttori. Infatti, gran parte del gas naturale importato dall’Europa ha comunque origine in Russia, ma fa solo un percorso più lungo”. Dunque Kiev è passata dall’importazione di gas in larga parte destinato al transito verso il resto d’Europa, da cui ricavava introiti e valuta pregiata, all’acquisizione di gas dal suo rivale strategico numero uno che finisce comunque per provenire dai suoi giacimenti, con un aumento dei costi. Logico che Zelensky veda come prioritaria un’assistenza europea all’indipendenza energetica ucraina e veda al contempo “un’arma” nel gasdotto Nord Stream 2 che raddoppiando i 55 miliardi di metri cubi mandati dalla Russia alla Germania taglierebbe al minimo i passaggi di gas sul suo territorio e la renderebbe suscettibile a degli shock. Dalle parti di Kiev avranno dunque elogiato Olaf Scholz per la decisione di bloccare temporaneamente il gasdotto in seguito allo strappo di Vladimir Putin.

Un passaggio ulteriore di Zelensky è sulla difesa e l’assistenza militare. Paolo Mauri ha ricordato su queste colonne come l’esercito di Kiev sia una forza tutt’altro che da sottovalutare in via di graduale preparazione dal 2014 ad oggi per un conflitto su larga scala con la Russia. Tuttavia, tra residuati sovietici, vecchie forniture russe e nuovi ammodernamenti dell’arsenale garantiti dalle forniture americane (lanciamissili, soprattutto) e turche (droni) l’arsenale rimane molto composito e Zelensky mira a costruire in futuro un esercito ucraino più professionale, occidentalizzato negli armamenti, competitivo nello scontro con Mosca. E questo, dopo l’economia e l’energia, è un terzo ambito in cui Kiev rischia di essere pericolosamente dipendente dalla dipendenza dall’esterno.

Zelensky si trova in una posizione delicatissima: a capo di uno Stato amputato della sua parte più produttiva, privo dell’autonomia strategica in campo energetico, capace di difendersi ma tuttora privo di un collocamento chiaro, stretto in un limbo securitario lo Stato dell’Europa orientale è oggigiorno crocevia di appetiti divergenti delle potenze e incerto sul suo futuro. Il rischio che l’Ucraina che uscirà dalla crisi si ritrovi ad essere molto diversa da quella che siamo abituati a conoscere e che la stessa sopravvivenza del Paese come entità stabile sia messa a rischio dalla mossa russa sul Donbass non è assolutamente peregrino. E Kiev si troverà presto di fronte a una sfida chiave per la sua sopravvivenza dovendo immaginare la sua futura collocazione nel mondo partendo da un limbo pressochè statico.





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