Chi pensava che il conflitto tra Iran e alleati degli Stati Uniti potesse fermarsi al Golfo Persico evidentemente non aveva fatto i conti con una realtà non solo molto più complessa, ma anche priva di confini. E la crisi delle petroliere, con gli attacchi perpetrati a maggio a largo degli Emirati Arabi Uniti e a giugno nel Golfo dell’Oman, adesso si espande a macchia d’olio anche nel Mar Mediterraneo. In particolare in uno dei punti di accesso del Mare Nostrum: Gibilterra.
In questi giorni, la Rocca appartenente alla corona britannica è diventata il teatro di un nuovo intrigo internazionale: il sequestro della Grace I. I Royal Marines britannici, con il supporto delle autorità di Gibilterra, hanno posto sotto sequestro la petroliera appartenente a una società di Singapore (ma battente bandiera panamense) accusandola di trasportare petrolio iraniano in Siria, in particolare verso la raffineria di Baniyas. Il tutto in violazione delle sanzioni europee contro il governo di Bashar al Assad, secondo le quali è vietato trasportare petrolio e altri beni a entità, istituzioni e uomini inseriti nella lista nera dell’Unione europea.
La questione ovviamente è diventata di natura internazionale. Perché è chiaro che il sequestro di una petroliera che trasporta oro nero di Teheran non può essere un semplice provvedimento di natura giudiziaria. Specie se a compiere il sequestro è stata una delle potenze più legate agli Stati Uniti: il Regno Unito. È stato proprio l’intervento di Londra a fermare il transito della nave verso il Mediterraneo orientale. Ed è del tutto evidente che da dietro le quinte anche gli Stati Uniti abbiano applaudito alla scelta delle autorità britanniche e di Gibilterra. Tanto che gli Stati Uniti, attraverso un tweet di John Bolton, hanno lodato il lavoro svolto dai Royal Marines nel sequestro della Grace I. Per il Consigliere per la Sicurezza nazionale di Donald Trump, l’intervento inglese è servito per contrastare il traffico di petrolio dall’Iran alla Siria, due “regimi” come detto dallo stesso Bolton, che evidentemente sono legati da un solo unico destino, quello dell’alleanza fra Teheran e Damasco.
Ma se Bolton ha espresso chiaramente il massimo del sostegno a questo intervento di Londra a Gibilterra, dall’altro lato la reazione dell’Iran non si è fatta attendere. Il governo di Teheran ha chiesto immediatamente il rilascio della nave e ha accusato nuovamente Washington di compiere atti di pirateria allo scopo di intimidire la Repubblica islamica. Ma questa volta il dito è chiaramente puntato anche verso il Regno Unito, tanto che il governo iraniano ha convocato con urgenza l’ambasciatore britannico a Teheran minacciando che, senza la liberazione della Grace I e del suo equipaggio, avrebbe posto sotto sequestro una nave presente nel golfo Persico. E l’idea è che adesso per Teheran, Londra (e in parte Madrid) sia responsabile di tutto quanto avviene nel Golfo: col rischio che il fenomeno degli attacchi alle petroliere possa diventare un’arma molto più costante e micidiale rispetto alle guerre convenzionali.
La domanda sorge più che mai impellente: dove era diretta quella nave contenente petrolio iraniano? Innanzitutto va fatta un premessa: quella nave era partita da circa un mese e mezzo e, una volta lasciato il territorio iraniano, ha iniziato a compiere la circumnavigazione dell’Africa. Fin qui un atteggiamento tutto sommato normale. Ma meno normale appare invece lo spegnimento del transponder da parte della nave. Perché è scomparsa volutamente dai radar e dai siti di tracciamento? Difficile da dirsi. C’è però un’amara verità per gli avversari dell’Iran: non c’è solo la Siria negli schemi di Teheran nel mondo. Tanto è vero che di recente anche la Libia ha visto giungere un cargo iraniano considerato vicino ai Guardiani della Rivoluzione. Mentre tra gli analisti, c’è chi giura che sia estremamente difficile per una nave cargo di quelle dimensioni arrivare direttamente ai terminal della raffineria di Baniyas, troppi dubbi sulla profondità del mare. E sono molti gli analisti che pensano fosse destinata più al trasporto tra due navi. Quello che certo è che la nave, navigando intorno alla coste africane, non solo ha spento il segnale, ma ha anche impiegato anche molto più del tempo del dovuto. Ed è per questo che gli Stati Uniti sono in agguato: qualcosa, secondo Washington non torna. Se il petrolio iraniano comincia a entrare in Siria è un problema per tutti i nemici di Assad. Ma attenzione anche alla Libia: il conflitto è ormai deflagrato in una guerra per procura. E Teheran non può abbandonare il Paese nordafricano in un momento di forti cambiamenti. E quella nave iraniana giunta a Misurata ad aprile è un segnale che forse in pochi hanno colto nel suo vero significato.