Nelle primarie del 22 maggio il Partito democratico statunitense ha celebrato le sue primarie per le elezioni di mid-term valide per numerosi distretti della Camera dei Rappresentanti, diversi seggi al Senato e numerose, importanti cariche di governatore statale. Il dato più rilevante del voto è stato senz’altro l’elevato numero di candidati di sesso femminile risultati vincenti: le donne sono al centro del progetto di rilancio della formazione progressista statunitense in completo riassestamento dopo le disastrose sconfitte del 2016, e molte delle vincitrici di martedì hanno l’ulteriore caratteristica di essere membri di minoranze etniche.
Donne e minoranze sono allo stato attuale delle cose un perno elettorale per i democratici, che sopravanzano i repubblicani sotto il profilo del “voto di genere” femminile e sono i collettori delle istanze politiche dei gruppi etnici minoritari, asecondando una tendenza analizzata da numerosi politologi che si sono occupati dei sistemi elettorali maggioritari.
Dalla pilota di caccia del Kentucky allo sceriffo di Dallas: le donne democratiche
Come segnala AdnKronos, tra le vittorie più significative nelle primarie che si sono svolte il 22 maggio sono molto rilevanti quella di Stacey Abrams, l’ex deputata locale della Georgia diventata la prima afroamericana candidata alla poltrona di governatore dello Stato del Sud, e quella di Lupe Valdezm, 70enne ex sceriffo della contea di Dallas, che potrebbe entrare nella storia come prima latina alla guida del Texas. Anche in Kentucky è stata una donna, la pilota di caccia Amy McGrath a sconfiggere nelle primarie il candidato sostenuto dal partito per un seggio della Camera.
“Sento sempre dire che sarà una battaglia in salita, ma per favore ditemi quando non ho dovuto combattere in salita”, ha detto Valdez, che è anche la prima persona dichiaratamente gay candidata alla poltrona di governatore, riferendosi al fatto che il repubblicano Greg Abbott viene dato per ampiamente favorito alle elezioni di novembre.
Le donne de Partito democratico accentuano la strategia progressista
Come segnalato da Ed Kilgore su New York Magazine, le “nuove leve” democratiche sono accomunate da una visione del mondo fortemente progressista e incentrata sui temi dei diritti civili, sul contrasto alla circolazione incontrollata delle armi e su altre battaglie chiave nell’agenda liberal.
La strategia è capitalizzare nelle elezioni di metà mandato i frutti che i democratici ritengono di aver maturato con la loro dichiarata “resistenza” a Donald Trump. Tuttavia, è necessario segnalare come il volto di novità presentato dalle nuove donne possa in realtà nascondere una nuova, grande illusione per il Partito democratico. Trump nel 2016 ha vinto in un’America fortemente divisa tra le sue due anime fondanti, che manifestavano opposizione e difficoltà nella comunicazione reciproca.
I democratici hanno perso proprio in quell’America profonda che più distanziava sé stessa dall’agenda liberal-progressista incarnata dall’establishment rivierasco. La scommessa dei democratici, testimoniata dall’ascesa delle “nuove donne”, è rischiosa: compattare nelle roccaforti di Trump il sostegno di tutti gli scontenti del Presidente significa, in un certo senso, cavalcare quella divisione imputata dai critici dell’attuale amministrazione al suo massimo esponente. Il Partito democratico sembra aver dimenticato la grande lezione di Bernie Sanders, capace di portare avanti una piattaforma basata su temi caldi, per quanto meno glamour agli occhi dell’establishment partitico, come sicurezza sociale, lavoro, lotta alle disuguaglianze.
Al di là delle storie personali delle donne democratiche, molte delle quali potrebbero coronare nel migliore dei modi delle esperienze umane e politiche notevoli, è bene ragionare prima di valutare se quella dei democratici sia una svolta o, sostanzialmente, un arroccamento travestito da innovazione.