La temperatura in Ucraina orientale e Mar Nero sta aumentando sensibilmente e non si tratta di un riferimento al meteo, quanto all’ammassamento di truppe e mezzi militari da ambo i lati e all’incremento delle violazioni del cessate il fuoco lungo i punti di contatto del Donbass. Una situazione simile sta attraversando il Mar Nero, dove si registrano esercitazioni militari e movimenti di flotte. La domanda sorge spontaneamente: cosa sta accadendo nella periferia orientale del Vecchio Continente?
Il Donbass si scalda
È dallo scorso novembre che lungo i punti di contatto del Donbass viene osservato un incremento costante delle violazioni del cessate il fuoco; 54 sarebbero state commesse dalle truppe ucraine soltanto nel periodo compreso fra il 2 e il 16 marzo. Le parti, cioè separatisti e governativi, si accusano reciprocamente dell’aumento di incidenti, morti e feriti, e agitano lo spettro di una presunta escalation ordita dall’altro allo scopo di far precipitare la situazione.
La crescita delle violazioni è stata certificata anche dalla Missione Speciale di Monitoraggio dell’Osce, secondo la quale la tregua regge ma starebbe venendo fragilizzata da tale tendenza. Sullo sfondo delle trasgressioni, la vigilanza del territorio avrebbe condotto alla scoperta di un fenomeno inquietante: a partire dal primo marzo sarebbero cresciuti i rifornimenti di armamenti pesanti alle truppe ucraine dispiegate lungo Donetsk e Lugansk.
Il Cremlino non ha dubbi: crescita della bellicosità e potenziamento dell’arsenale a disposizione dei governativi – sullo sfondo dell’incremento delle truppe ucraine dispiegate in loco – sarebbero il riflesso di un disegno escalatorio avente come obiettivi il collasso della tregua e l’allontanamento della risoluzione, perciò il mese di marzo è stato costellato dal lancio di avvisi e moniti in direzione di Kiev e degli altri due membri del Formato Normandia, ossia Parigi e Berlino.

Cosa accade nel Mar Nero?
Lo scorso 19 marzo un incrociatore statunitense classe Ticonderoga, l’Uss Monterey (Cg-61) appartenente al Csg (Carrier Strike Group) della portaerei Eisenhower che attualmente incrocia nel Mediterraneo Orientale, ha attraversato il Bosforo per entrare nel Mar Nero. Il giorno successivo, anche un cacciatorpediniere della classe Arleigh Burke, lo Uss Thomas Hudner (DDG 116) facente sempre parte della scorta della “Ike”, ha seguito l’incrociatore.
Le navi statunitensi sono entrate nel Mar Nero per partecipare all’esercitazione Sea Shield guidata dalla Romania. L’obiettivo finale di queste operazioni è perfezionare le procedure di difesa aerea congiunte per difendere al meglio il naviglio da guerra e stabilire la superiorità aerea e marittima per consentire la libertà di navigazione in tutte le acque e nello spazio aereo internazionali, così riferisce il comunicato ufficiale della Us Navy.
In dettaglio l’esercitazione Sea Shield vede la partecipazione di 18 navi da guerra e 10 velivoli provenienti da otto Stati, e si terrà sino al prossimo 29 marzo. Le forze partecipanti provengono da Bulgaria, Grecia, Olanda, Polonia, Romania, Spagna, Stati Uniti d’America e Turchia.
Il Comando marittimo alleato della Nato partecipa con il gruppo navale permanente Snmg-2 (Standing Nato Maritime Group). Mercoledì scorso, pochi giorni prima dell’ingresso nel Mar Nero dell’incrociatore Usa, la Mendez Nunez, una fregata della marina spagnola, ha attraversato il Bosforo seguita venerdì dalla Cristobal Colon, un’altra unità dello stesso tipo.
La Flotta Russa del Mar Nero si è subito messa “in allarme” e ha preso il mare per seguire le manovre della Nato: risulta, infatti, che nella mattinata di sabato tutti i sottomarini hunter-killer russi (Ssk) abbiano preso il mare lasciando la loro base di Sebastopoli.
Le unità statunitensi, in particolare, hanno lasciato il loro compito di scorta alla “Ike” dopo che il Csg si è esercitato con Grecia e Turchia nel Mediterraneo orientale: le manovre che hanno coinvolto Atene sono state più elaborate e hanno visto il coinvolgimento anche degli F-16 dell’aeronautica ellenica, mentre quelle con Ankara sono state solo una “passex”, ovvero delle esercitazioni effettuate “di passaggio” durante la crociera della portaerei. Un segnale di come Washington stia avendo un “occhio di riguardo” verso la Grecia.
Donbass e Mar Nero collegati?
L’ingresso nel Mar Nero delle unità navali Usa e l’esercitazione Sea Shield non devono, però, essere fraintesi e collegati direttamente ai movimenti di truppe in Ucraina. Innanzitutto le esercitazioni, da ambo le parti, vengono stabilite con un ampio margine temporale e comunicate altrettanto tempestivamente, secondariamente si tratta di un quadro strategico più ampio – che comprende anche l’Ucraina senza dubbio – ed è legato proprio all’importanza che l’Alleanza Atlantica – in primis gli Stati Uniti – dà al Mar Nero.
Da quando la Turchia è diventata un partner “inaffidabile” per le sue prese di posizione in merito agli armamenti di fabbricazione russa e per la destabilizzazione del Mediterraneo orientale nel suo confronto con la Grecia, quello specchio di mare ed i Paesi che vi si affacciano legati a Washington e a Bruxelles sono diventati sempre più centrali nel contenimento della Russia.
Così Romania, Bulgaria (già membri Nato) insieme a Georgia, Ucraina e perfino Moldavia, stanno ricevendo particolari attenzioni negli ultimi anni da parte degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica: quando, lo scorso 5 febbraio il cacciatorpediniere Uss Donald Cook ha fatto una “visita di cortesia” nel porto georgiano di Batumi, dopo essere entrato nel Mar Nero insieme all’Uss Porter qualche giorno prima, non si è trattato solo di un fatto legato al “rafforzamento delle forti relazioni di difesa e sicurezza tra gli Stati Uniti e la Georgia”, ma un segnale chiaro e preciso verso l’esterno (la Russia) e verso l’interno dell’Alleanza (la Turchia). Del resto, quello specchio di mare ed il cielo sovrastante vedono da parecchio tempo più traffico militare dello stesso cruciale Mediterraneo – dove la Russia, peraltro, è ormai di casa –, a segnalare che, insieme al Baltico e ai mari artici, gli Usa e la Nato non intendono alleggerire la pressione su Mosca, sebbene a Washington si sia spostato il baricentro del contrasto militare più verso la Cina.