Formulare un pronostico su quale potrebbe essere l’esito delle elezioni presidenziali statunitensi non è mai stato così complicato: i sondaggi della grande stampa hanno perso ogni credibilità nel 2016, la rete è avvolta da una cappa sempre più asfissiante di disinformazione e una serie di incognite impedisce di catturare con efficacia gli umori della cosiddetta maggioranza silenziosa sulla quale sta scommettendo Donald Trump.

Sarà l’incertezza il sentimento regnante, da ambo le parti, fino a quando non sarà terminato il lavoro degli scrutatori elettorali. Dall’altra parte dell’oceano, invece, più precisamente in Russia, il sentimento dominante tra i decisori politici sembra essere la rassegnazione. Secondo l’opinione generale, infatti, non ha importanza che venga riconfermato Trump o che vinca Joe Biden, perché, probabilmente, tra le due potenze continuerà ad essere guerra fredda.

Trump, un debole?

È dal 2016 che Trump viene dipinto come il “burattino di Putin”, un appellativo dispregiativo utilizzato prima da Hillary Clinton e oggi da Biden nel contesto del cosiddetto Russiagate e di un’abile opera di distruzione della reputazione. Contrariamente a quanto preconizzato dai due acerrimi rivali dell’attuale presidente tra Russia e Stati Uniti non è accaduta alcuna rivoluzione diplomatica e, anzi, i rapporti bilaterali hanno registrato un generale peggioramento durante l’era Trump.

L’idea di cessare le ostilità iniziate da Barack Obama per creare un fronte eurasiatico in chiave anti-cinese, esteso da Lisbona a Vladivostok, non ha mai attecchito veramente alla Casa Bianca ed è rimasta circoscritta nel campo delle idee, rivelandosi un pensiero illusorio (wishful thinking) di Henry Kissinger e Steve Bannon al quale hanno creduto, e nel quale hanno sperato, numerosi realisti occidentali.

Secondo Andrey Kortunov, il più popolare scienziato politico russo e direttore generale del Russian International Affairs Council, il bilancio complessivo dei quattro anni di presidenza Trump suggerisce che sia “improbabile che i risultati delle elezioni presidenziali americane avranno alcun effetto significativo nelle relazioni tra Washington e Mosca”.

Pur essendo vero che i due presidenti abbiano una visione comune delle relazioni internazionali e mostrino sintonia su diversi dossier, come nota Kortunov, ciò non ha evitato che i rapporti bilaterali si aggravassero ulteriormente, portando ad “una litania di sanzioni economiche su ogni tipo di terreno, dall’Ucraina alla Siria, dalle armi chimiche alla cooperazione energetica della Russia con la Germania, ad una guerra diplomatica senza precedenti […] all’espulsione di Mosca dai suoi mercati tradizionali di armi […] e ad un aumento della pressione sui partner strategici e sugli alleati di Mosca, dall’Iran alla Siria, da Cuba al Venezuela”.

Secondo Kortunov, però, non sarebbero state le aspettative elevate erroneamente riposte nel presidente americano ad aver spinto il Cremlino a rivedere il proprio atteggiamento nei confronti di Biden; la ragione sarebbe da ricercarsi nella propensione alla deresponsabilizzazione di Trump, consistente nell’addossare le colpe al Partito Democratico, al Congresso, all’ostilità dei collaboratori di cui si è circondato e ad altre forze. Il presidente americano, in breve, non avrebbe dimostrato di possedere i parametri caratteriali che dovrebbe avere uno statista e, dopo quattro anni di relazioni bilaterali in fase di regresso costante, il verdetto del Cremlino è univoco: “Donald Trump si è rivelato un leader debole”.

L’opinione su Biden

Confutare il luogo comune che vorrebbe Trump quale candidato prediletto del Cremlino non equivale ad appoggiare Biden. Secondo Kortunov, “vi è ogni ragione di credere che Joe Biden, dovesse emergere vittorioso il 3 novembre, sarà un altro presidente debole”. Contrariamente a Trump, che affronta l’ostilità di una parte delle istituzioni, Biden ha il supporto dei settori-chiave del potere e “questo significa che le relazioni continueranno ad essere basate sul minimo comune denominatore, […] soprattutto perché una cosa che unisce le élite finanziarie e politiche negli Stati Uniti è la loro avversione incrollabile per la Russia”.

Al tempo stesso, però, Kortunov ritiene che “Biden potrebbe risultare più conveniente al Cremlino” per via di una maggiore prevedibilità – l’elemento che, invece, è mancato completamente a Trump. Pur ammettendo che “senza dubbio, egli cercherà di aumentare il supporto all’Ucraina e sollevare la questione dei diritti umani in Russia con più veemenza che mai”, al Cremlino vi è la speranza che “egli assumerà, probabilmente, una posizione più costruttiva sul controllo degli armamenti e [che] potrebbe alleggerire la pressione sull’Iran. Biden, certamente, non sarà generoso negli elogi a Putin, ma il suo approccio alle relazioni con Mosca potrebbe essere più consistente e prevedibile”.