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Il Dipartimento di Stato americano ha messo a punto un nuovo sistema di informazione sul rischio per i cittadini americani che decidono di andare all’estero. Una sorta di “viaggiare informati” in cui, con differenti colori e in una scala da 1 a 4 (dove 1 sta per un Paese sicuro e 4 per il Paese più a rischio), sono inseriti tutti gli Stati del mondo in una mappa interattiva. Il cittadino che si reca per turismo, lavoro o famiglia in un Paese sa, dunque, attraverso questa mappa in quale Stato può sentirsi sicuro e in quale, al contrario, è opportuno prestare particolare attenzione o evitarlo del tutto. Ma siamo sicuri che il Dipartimento di Stato abbia svolto questo lavoro con i criteri adeguati? A vedere e analizzare il sito, francamente, i dubbi sorgono. E sorgono non tanto per i Paesi più a rischio per un cittadino americano (inutile dire che Somalia, Yemen, Siria e Libia siano da evitare in questo periodo), quanto per tutti quelli inseriti in una sorta di grande calderone di categoria 2 in cui sono messi sullo stesso piano Paesi con una storia di terrorismo e guerra assolutamente diversa. E l’Italia, in questo, ha sicuramente qualcosa da recriminare. E su cui riflettere anche dal punto di vista di capacità di attrazione turistica. Forse è difficile pensare che dietro vi sia una sorta di “geopolitica del turismo”, ma qualcosa di molto curioso o comunque di enigmatico dietro determinate scelte c’è.

Al livello più basso, quello che fa riferimento al livello uno e al colore blu, ci sono gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, il Giappone, la Corea del Sud, i Paesi della Scandinavia, quasi tutti i Paesi dell’Europa orientale, il Portogallo, quasi tutti gli Stati dell’Asia centrale e il Marocco. A un livello leggermente superiore di rischio, una sorta di livello 1 ma con più precauzioni, ci sono Paesi come il Perù, l’Oman, alcuni Stati del Sud-est asiatico, il Mozambico, l’Angola, il Ruanda e una serie di altri Stati. Soffermandoci già soltanto sui livelli 1 e 1b, qualcosa non torna. Giappone e Corea del Sud sono Paesi che, in teoria, sono sotto costante minaccia di guerra nucleare, a detta dell’amministrazione Usa. L’Australia ha sventato una serie di potenziali attacchi terroristici devastanti. In Scandinavia vi sono stati attacchi del terrorismo islamico, seppur di natura meno grave rispetto a quelli che hanno sconvolto altri Stati d’Europa. Il Tagikistan, altro Paese assolutamente sicuro a detta di Washington, vede un focolaio di terrorismo islamico importante. E anche il Marocco, Paese che è sicuramente una gemma del Nordafrica, non è del tutto da considerare un Paese più sicuro di molti Paesi di livello 2.

Ma ecco, è il livello 2 che fa abbastanza sorridere, se non lasciare perplessi anche per le potenziali ricadute sul sistema turistico nostrano. Secondo il Dipartimento di Stato, l’Italia, Paese che non subisce un attacco terroristico dal 2009, ha la stessa pericolosità di tutti i Paesi dell’Europa occidentale che hanno subito attentati terroristici fino a pochi mesi fa: Francia, Regno Unito, Spagna e Germania. Paesi sicuri, certamente, ma perché l’Italia dovrebbe essere considerata egualmente sicura quando non siamo né in guerra né abbiamo subito colpi alla nostra sicurezza, come invece avvenuto in quei Paesi? Ma quello che fa più riflettere è che, nella stessa fascia gialla, ma con un livello leggermente superiore per alcune aree a rischio, ci sono Stati come il Messico (Paese tra i più volenti al mondo), la Colombia, l’Ucraina, che nel frattempo ha una guerra civile in corso, Israele e l’Egitto. Insomma per gli uffici governativi statunitensi, viaggiare a Roma o Milano non è molto più sicuro di andare al Cairo o a Gerusalemme. Una strana percezione della sicurezza dei Paesi, oppure un tentativo di aumentare il traffico turistico verso i propri partner internazionali?

Al terzo livello, quello arancione (“viaggio di cui riconsiderarne l’opportunità”) troviamo effettivamente Paesi a forte rischio di violenza o di guerra come Nigeria, Niger, Ciad e Burundi, ma anche Paesi come Cuba ad esempio, che rimane in limbo politico nei confronti di Washington più che un pericolo dal punto di vista dell’incolumità del cittadino statunitense. Al terzo livello, ma con ancora più precauzioni (livello massimo prima di quello dove si sconsiglia vivamente il viaggio) Honduras, Pakistan, Russia, Sudan e Turchia. Questo significa che, per un cittadino americano, viaggiare in Russia e godere dell’Ermitage ha un rischio identico a quello di recarsi a Islamabad o a Caracas nel mezzo delle violenze. Infine, il livello quattro, quello per cui si chiede di evitare ogni tipo di trasferimento: Corea del Nord, Libia, Siria, Somalia, Sud Sudan, Mali, Repubblica centrafricana, Afghanistan e Iran. Paesi molti differenti l’uno dall’altro ma accomunati, in sostanza, da un conflitto reale o latente in cui sono coinvolti gli Stati Uniti.

La posizione dell’Italia deve far riflettere, perché evidentemente gli Usa ci considerano potenzialmente oggetto di attacchi terroristici e sotto minaccia costante. Ma dal punto di vista d’immagine, il governo dovrebbe quantomeno chiedere delucidazioni, perché l’equiparazione, dal punto di vista del terrorismo, è improponibile. Negli ultimi anni abbiamo assistito alla strage di Nizza e del Bataclan, a quella delle Ramblas di Barcellona, agli attentati in Belgio con la polizia nel caos più totale, la mattanza di Natale a Berlino e le violenze di Colonia a capodanno, per non parlare dei morti che hanno colpito Londra e Manchester. Perché l’Italia è considerata rischiosa come chi ha fallito?

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