Il governo tedesco di Olaf Scholz è nella bufera: nato a fine 2021 per succedere agli esecutivi di Angela Merkel, l’esecutivo imperniato sulla “coalizione semaforo” tra Socialdemocratici (Spd), Verdi e Liberali (Fdp) è stato in poche settimane assorbito nel caos scatenato dalla guerra in Ucraina. E sta da tempo barcamenandosi tra mille difficoltà e regolamenti di conti interni.
Il ministro della Difesa di Scholz prossima a dimettersi
La corrispondente di Repubblica da Berlino, Tonia Mastrobuoni, nell’edizione odierna dà conto delle difficoltà del Ministro socialdemocratico della Difesa, Christine Lambrecht, travolta da critiche politiche e mediatiche per le riserve a sostenere massicciamente l’Ucraina. Per Mastrobuoni per le dimissioni di Lambrecht manca solo l’ufficialità dopo “la bufera scatenata da un suo dilettantesco video di Capodanno in cui raccontava di un 2022 di guerra in Ucraina che le aveva dato l’opportunità di conoscere gente «fantastica» – il tutto sullo sfondo di una Berlino scoppiettante di fuochi d’artificio”. L’indiscrezione riportata dalla corrispondente è confermata dal Financial Times che ha sentito fonti interne al governo tedesco.
Lambrecht ha sempre tirato molto sugli aiuti a Kiev, ha dichiarato ad aprile che le scorte di Berlino erano esaurite e che futuri aiuti dovevano essere negoziati dai produttori di armi, ha mancato di un’incidenza politica e strategica chiara in campo militare. Ha ereditato, inoltre, i ritardi nella preparazione dell’esercito tedesco che le sue due colleghe precedenti, Anngret Kamp-Karrembauer e Ursula von der Leyen, entrambe della Cdu merkeliana, non hanno saputo sanare. La sua posizione è compromessa inoltre dal’incapacità del governo di mettere a terra il fondo di investimento da 100 miliardi di euro per la Bundeswehr annunciato a marzo da Scholz. Lambrecht è spesso accusato per la lenta attuazione delle riforme della spesa, ma la Spd si deve anche confrontare con le dinamiche interne.
Il duello “fiscale” tra Spd e Liberali
Nel primo partito al Bundestag molti vorrebbero orientare le spese militari altrove, alla lotta al caro-energia, al sostegno alle imprese, all’ampliamento del bazooka da 200 miliardi annunciato da Scholz contro la crisi energetica, al welfare. Scholz, che da moderato centrista guida un partito fortemente spostato a Sinistra e in cui sono in crescita le posizioni pacifiste, deve mediare con l’atlantismo ferreo di Liberali e Verdi.
Con l’Fdp il contrasto è inoltre sulla grande strategia da tenere in Europa, assegnata nella sua componente strutturale al segretario liberale e ministro delle Finanze Christian Lindner, che soprattutto sul fronte comunitario spinge per il controllo dei debiti e la fine della fase emergenziale post-Covid. Inaugurata proprio da Scholz nella fase in cui era Ministro delle Finanze di Angela Merkel e a cui il cancelliere non può derogare a cuor leggero. La base Spd chiede più debito comune europeo, Lindner si oppone e Scholz non può che trovarsi tra due fuochi.
La risposta alla sfida americana
Tutto questo a maggior ragione acquisisce importanza anche nella fase in cui l’Ue discute su come rispondere alla sfida americana dell’Inflation Reduction Act e dei sussidi a settori strategici a cui Bruxelles vuole rispondere. “Molti paesi dell’Ue, tra cui la Spagna, sostengono che senza nuovi meccanismi di finanziamento congiunto, il mercato unico dell’Ue diventerà sempre più distorto perché i paesi ricchi come la Germania possono permettersi sussidi per le loro industrie, ad esempio quando si tratta di promuovere la futura industria verde, mentre altri non possono”, nota Politico.eu.
Lindner fa muro su tutta la linea e ad oggi questo può pregiudicare la strategia della Spd e anche i tentativi di mediazione di Scholz. Il motivo è chiaro: la partecipazione al governo è stata fino ad ora un vero e proprio bagno di sangue politico per l’Fdp. Scesa in tutte le principali rilevazioni dal sorprendente 11,5% del settembre 2021 all’attuale 6-7% per la difficoltà nel promuovere la sua linea moderata ora diventata oltranzista.
Il “contrappasso” dei Verdi
I distinguo della base Spd e il trinceramento dei Liberali si sommano ai distinguo sistemici presi dai Verdi nelle ultime settimane. I Grunen stanno studiando da formazione pragmatica di governo sacrificando, uno dopo l’altro, tutti i loro capisaldi. Ma il loro elettorato è infuriato per la posizione del ministro dell’Economia e vicecancelliere Robert Habeck sul ritorno al carbone (temporaneo) e sul brutale sgombero di Lützerath, cittadina renana dove è in programma la realizzazione di una nuova cava di lignite, che ha attratto sui Verdi la critica dell’attivista “green” per eccellenza, Greta Thunberg.
I Verdi hanno perso nei sondaggi tre punti in una settimana dall’inizio dell’anno: dal 20% di inizio anno sono scesi nelle rilevazioni al 17%, subendo il controsorpasso Spd al secondo posto dietro la Cdu (prima col 27% dall’opposizione) e dovranno scegliere, principalmente con Habeck e il Ministro degli Esteri Annalena Baerbock, in che misura la terna fatta da rigorismo atlantista, pragmatismo energetico e progressismo fiscale sia destinato a diventare il nuovo volto dei Grunen e quanto invece serve tornare alla linea originaria dell’ambientalismo spiccio. La prova del governo li sta rafforzando politicamente rispetto al 14,5 delle ultime elezioni, ma quanto a lungo potrà durare tutto ciò? Habeck, in particolare, è da tempo il simbolo di molte contraddizioni: politico attento alle sfide del Paese, ha rilanciato la ricerca di fonti di gas e riaperto miniere e centrali a carbone contro la crisi energetica post-Ucraina. Sul governo Scholz potranno, in futuro, scaricarsi anche le tensioni ecologiste qualora nuovi incidenti di percorso come il caso Lutzerath portassero a nuove emorragie di consensi.
Insomma, Scholz si trova a dover governare diverse spinte centrifughe che la Merkel era specialista nel contenere in partenza con una linea di mediazione e sincretismo. I governi di coalizione della Merkel univano anime politiche diverse in nome di un modello fatto di sostegno all’economia, sicurezza dei redditi, export e continuità della centralità tedesca in Europa che con Scholz si è sciolto come neve al sole in poco più di un anno. Perso il “tocco magico” in Europa che la Cancelliera padroneggiava, Scholz si è scoperto debole e assediato sul fronte interno. Quanto a lungo potrà reggere il Paese con questa situazione è difficile dirlo: ma nel 2023 tra nuove politiche energetiche, sfide europee e piani di rilancio dell’industria e dell’export che imporranno negoziazioni serrate tra partiti sempre più divisi e una carenza di leadership il governo di Scholz sarà atteso da un referendum quotidiano.