Spesso l’opinione pubblica si spacca tra chi crede nelle coincidenze e chi, al contrario, non è portato a concepire l’esistenza della casualità affidando dunque, di fatto, ogni avvenimento a precisi disegni studiati più o meno a tavolino: la verità, quasi sempre, sta nel mezzo e questo non può che valere anche per un contesto così tribolato quale quello libico; più che coincidenze o fatalità, spesso sono i richiami dati da alcuni elementi oggettivi ad influenzare determinati accadimenti e le date, ad esempio, ne sono un’autentica dimostrazione. L’avvicinarsi di una data importante tanto a livello pratico quanto simbolico, può essere foriera dell’inizio di determinate velleità; in Libia il 17 dicembre scorso è accaduto di tutto: è stato ucciso il Sindaco di Misurata, Haftar ha parlato al suo ‘esercito’ utilizzando toni aspri ed annunciando di fatto la sua candidatura a leader del paese, a sud di Sirte sono scoppiati scontri tra uomini fedeli al generale libico e milizie legate al rivale Al Serraj, anche a Tripoli si sono vissute ore di tensione culminate in combattimenti.
Né coincidenze, né disegni premeditati, semplicemente il 17 dicembre è stato il secondo anniversario degli accordi di Skhirat e quindi del compromesso che ha dato il via all’esperienza di Al Serraj quale capo del governo riconosciuto internazionalmente; il 17 dicembre era quindi una data sentita a livello simbolico, così come da un punto di vista prettamente pratico: in tanti, a partire da Haftar, hanno iniziato a considerare privo di ogni legittimità il governo di Al Serraj e questo, da più parti, ha generato la volontà dei diversi attori in campo di rimescolare le carte anche in vista delle possibili elezioni del prossimo anno. In poche parole, la Libia dopo il 17 dicembre rischia di essere ancora più frammentata e più soggetta a scontri e destabilizzazioni.
Haftar ed il discorso di Bengasi
Proprio lo scorso 17 dicembre il generale Haftar, in quella che ritiene la ‘sua’ capitale, ha voluto mostrare i muscoli: in tv, l’uomo forte della Cirenaica ha definito ‘carta straccia’ gli accordi di Skhirat, sostenendo il fatto che oramai Al Serraj non ha più alcuna legittimazione interna ed internazionale per rimanere in sella a Tripoli. Haftar è riuscito, durante il suo discorso, a far radunare una piccola folla nelle vie di Bengasi i cui slogan erano in gran parte rivolti all’ONU ed all’opportunità, manifestata dai sostenitori del generale, di riconoscere il governo cirenaico quale unico interlocutore credibile del paese. Secondo i media locali, in piazza erano presenti un migliaio di cittadini, non proprio la folla oceanica ipotizzata alla vigilia del suo discorso da Haftar, ma nemmeno un totale fallimento specie se si considera che la più importante città della Libia orientale è uscita da poco dalla cruenta e lunga battaglia che ha visto contrapposti, in tutti i quartieri, l’esercito del generale libico con le tante sigle islamiste che controllavano il territorio dalla caduta di Gheddafi.
“Nonostante tutti i brillanti slogan – ha dichiarato, tra le altre cose, Haftar nel suo discorso – durante i colloqui tra i rivali per il potere, dal dialogo di Ghadames e finendo in Tunisia via Ginevra, Skhirat e altri luoghi, è uscito solo inchiostro su carta”; per Haftar dunque, quella del 17 dicembre non era una ‘data di ricorrenza’ degli accordi di Skhirat, come dichiarato dal Ministro Alfano lo scorso 11 dicembre nel corso della visita dello stesso leader cirenaico a Roma, ma di vera e propria scadenza. Dunque, per l’esecutivo di Tobruck (di cui Haftar è braccio militare) adesso è tempo di ridisegnare l’aspetto istituzionale della Libia; non è un caso che un’altra parte importante del discorso del generale libico indichi chiaramente l’intenzione di considerare le elezioni come unico strumento per ricevere legittimità: “Le forze di cui sono a capo, quelle dell’esercito nazionale libico – ha affermato – Sono pronte a sottomettersi agli ordini del popolo libico, l’unico oggi legittimato a decidere”.
A fargli eco, sotto un profilo più politico che militare, è stato il presidente del parlamento di Tobruck, Aguila Saleh: “Dobbiamo prepararci alle elezioni – ha dichiarato in una nota pubblicata dalla Reuters – Quella è l’unica strada da seguire”. Le consultazioni, che anche il delegato ONU Salamé vorrebbe far effettuare entro il 2018, nonostante le cautele russe e le difficoltà oggettive di organizzare la macchina elettorale in un paese profondamente diviso ed in stato di guerra, vengono descritte da più parti come l’unico vero grande obiettivo per i prossimi mesi: in tal senso, da qualche settimana è iniziata la registrazione dei cittadini in appositi collegi elettorali.
Scontri a sud di Sirte
La data del 17 dicembre entra di prepotenza anche nelle dinamiche di quanto sta accadendo a sud di Sirte, luogo natio di Gheddafi e per circa un anno ‘capitale’ dello Stato Islamico installato in Libia; proprio dalla giornata di domenica, a circa 70 km a sud della città sono scoppiati intensi scontri tra l’esercito di Haftar e la coalizione denominata “al Bunian al Marsus”, ossia il gruppo di miliziani che nell’estate 2016 ha combattuto l’ISIS in questa parte della Libia e che, in gran parte, è composto da militanti della tribù di Misurata. Un gruppo quindi fedele ad Al Serraj o, perlomeno, vicino al governo riconosciuto dall’ONU ma di fatto lontano dall’essere un vero e proprio esercito; secondo quanto dichiarato da un capo militare di Misurata ad AgenziaNova, entrambe gli schieramenti stanno concentrando ingenti forze nella zona la quale risulta strategica sia perché, lungo la linea di costa, si trova a metà strada tra Tripoli e Bengasi e sia perché, soprattutto, essa è molto vicina alla ‘Mezzaluna petrolifera’ di Ras Lanuf in mano agli uomini di Haftar.
La posizione internazionale sugli accordi di Skhirat
L’omicidio del Sindaco di Misurata, rientra quindi nel contesto più ampio di un paese che, alla scadenza di accordi che peraltro non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati, adesso si ritrova sempre più alla deriva; a livello internazionale però, gli accordi siglati in Marocco due anni fa appaiono ancora validi: non solo l’Italia e l’Europa, ma anche Algeria, Tunisia ed Egitto hanno auspicato il proseguimento della fragile via del dialogo considerando in vigore quanto stabilito il 17 dicembre 2015. La posizione di Haftar dunque, non sembra avere massicci consensi a livello internazionale: lo stesso presidente egiziano Al Sisi, tra i partner più vicini al generale libico, non ha avallato l’idea di considerare tramontata del tutto l’era apertasi a Skhirat. In Libia però, c’è già chi parla della data dello scorso 17 dicembre come vero e proprio spartiacque: attorno al semplice richiamo della scadenza degli accordi sopra citati, continuano a ruotare gran parte delle nuove tensioni sfociate in scontri e dichiarazioni bellicose.
Quello di Misurata in poche parole, potrebbe non essere l’ultimo episodio clamoroso all’interno dello scenario libico; tra scadenze, ambizioni di singole fazioni o di singoli personaggi, destabilizzazioni ed un quadro sociale nel frattempo sempre più disastrato, da qui ai prossimi mesi la Libia sembra destinata a vivere sempre più in uno stato di perenne tensione.