È da mesi che il futuro tiene banco nelle aule affollate del Parlamento e della Commissione dell’Unione Europea, dove oramai si discute incessantemente e crescentemente di ambiente, cambiamento climatico, società inclusive, transizione verde e uguaglianza di genere. È un futuro roseo, aperto e orientato al progresso, quello preconizzato dagli strateghi di Bruxelles, ma che soffre di un grave limite: è miope, come coloro che lo hanno disegnato.

Non può esserci futuro senza progresso, perché vanno di pari passo, ma i suggeritori dei decisori politici dei 27 non debbono dimenticare che il futuro è (anche) una questione di realismo. E il realismo, nell’agenda comunitaria per il futuro, è presente in quantità modiche, come mostra e dimostra l’attenzione scarsa o nulla dedicata a tematiche quali le guerre ibride, la sicurezza dell’estero vicino e la demografia.

Oltre a clima e tecnologia c’è di più

Il primo vertice informale dei cosiddetti “ministri del futuro” ha avuto luogo a Coimbra (Portogallo) lo scorso maggio ed è servito a lanciare l’incubatore delle idee per il futuro, il cosiddetto Foresight Europe Network. Il progetto, almeno sulla carta, premette e promette bene – analisi di scenario, studi di previsione sociale, orientamento al lungo termine e via dicendo –, ma è sufficiente uno sguardo un poco approfondito per rendersi conto che il futuro vaticinato da Bruxelles è limitato sostanzialmente a nuovi diritti, parità di genere, transizione ecologica e trasformazione digitale.

Il problema non è dato dal volere un futuro tinto di rosa e verde, ma dall’immaginarlo esclusivamente in questo modo, dimenticando che esistono anche il nero e il grigio. E l’Europa, se realmente aspira a qualche forma di autonomia strategica, deve tenere in considerazione il ruolo giocato da tutte quelle variabili che i futurologi del Foresight Europe Network stanno trascurando, come la demografia, le guerre ibride, l’instabilità nel vicino estero del continente, i modelli di integrazione, le operazioni psicologiche e gli sviluppi tra Africa e Asia.

Ogni castello che si rispetti abbisogna di cinte murarie che lo proteggano da eventuali insidie e assedi, e il castello Europa è carente in termini di difese. Perché i progressi in materia di costruzione di avamposti – come la recente apertura a Bucarest del Centro europeo di competenza sulla sicurezza cibernetica – sono pochi, tardivi e limitati. Continuano a mancare, invero, dei piani d’azione – anche solo abbozzati – su temi come la securizzazione delle frontiere liquide dell’Europa, la lotta al terrorismo, la formulazione di nuovi modelli di integrazione e la gestione attiva di quel fascicolo vitale – in senso letterale – che è l’inverno demografico.

Per i futurologi l’Europa è statica (ma non è così)

L’identità storica dell’Europa sta cambiando, anche piuttosto velocemente, ma sembra non esserci spazio per questo tema cruciale nell’agenda dei futurologi del Foresight Europe Network. Il loro è un errore più che madornale – suicida –, risultante dal possedere una visione poststorica del mondo, delle identità e delle relazioni internazionali, e che dovrà essere risolto quanto prima, nel breve termine. In gioco, invero, vi sono il futuro e la stabilità dell’Europa.

Prendere atto della mutazione dell’Europa equivale a dare il giusto peso a fenomeni etno-demografici come l’albanesizzazione dei Balcani occidentali, la romizzazione dell’Europa centro-orientale e la trasformazione dell’Islam in una forza dotata di carico critico euleriano in buona parte del Vecchio Continente, in special modo in terre pivotali come Francia e Germania. Eventi che, forse, stanno venendo trascurati perché ritenuti più appartenenti alla fantapolitica e al reame del cospirazionismo di estrema destra che alla realtà, ma che stanno avendo luogo, al di là di tutto, nell’indifferenza e nell’incuranza dell’Europa e delle classi dirigenti dei suoi membri.

Quel futuro che non si vuole vedere

Scrivere e parlare di demografia è importante per una ragione molto semplice: la demografia è potere, la demografia è (geo)politica, la demografia è destino. Ai futurologi di Bruxelles non interessa, ma alle loro controparti turche, ad esempio, importa (e anche tanto). E lo zelo con cui stanno investendo in attività di proselitismo, in partiti politici islamisti e nella moscheizzazione di interi territori, dalla Bulgaria alla Francia, è la prova provante e lapalissiana di ciò.

Il futuro dell’Europa, lo si accetti o meno, è destinato ad essere un po’ meno cristiano ed un po’ più islamico, ed un po’ meno europeo ed un po’ più arabo, turco e rom. Le implicazioni di questa trasformazione epocale saranno variegate e profonde, e vanno lentamente manifestando la loro perniciosità – derivante dalla trascuratezza –, come mostrano e dimostrano la radicalizzazione religiosa tra le nuove generazioni di musulmani, la proliferazione di quartieri ad accesso vietato, i processi di terzomondizzazione e medievalizzazione sperimentati da un numero crescente di aree rurali e urbane, lo scoppio di periodiche guerre urbane nei ghetti europei, il lento apparire di fenomeni separatistici – dalla Francia all’Ungheria – e le aspirazioni egemoniche della Turchia in quei Balcani in sommovimento dimenticati dagli euro-futurologi – in particolare in Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria e cintura albanese.

Il cambiamento può essere vita come può essere morte, a seconda di come lo si gestisca, e lo sviluppo di un’agenda dedicata al futuro dell’Ue non può essere un’occasione sprecata. Questo è il momento dell’azione preventiva, cioè della formulazione di politiche realmente lungimiranti, che risolvano simultaneamente la crisi delle culle degli europei etnici e che mitighino il potenziale destabilizzativo dei vari cambi paradigmatici etno-religiosi che stanno riscrivendo l’identità dell’Europa, convertendo una possibile sfida esistenziale in un’opportunità unica di accrescimento. Urge agire oggi, però, perché domani potrebbe essere troppo tardi. Domani potremmo scoprirci sopraffatti da potenze rivali, come la Turchia, o travolti da eventi che non abbiamo voluto vedere, come la nascita di una nuova Europa.

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