Il confronto tra Cina e Stati Uniti, ovvero i rappresentanti principali di due sistemi politici tra loro agli antipodi e in competizione. L’eterna sfida tra la democrazia e l’autoritarismo, con in mezzo l’emergere di un fenomeno sociale relativamente recente, e cioè quello della democratura. E ancora: la presenza di tanti altri modelli ibridi, pronti a ritagliarsi spazi di manovra sempre più grandi in mezzo alle mille incertezze dei governi democratici, e l’ingresso in scena di leader forti, apparentemente apprezzati dall’elettorato, almeno in un primo momento. Queste sono soltanto alcune delle sfide che caratterizzeranno il 2023, l’ennesimo anno spartiacque che costringerà il mondo a ridefinire concetti che, soltanto fino a pochi decenni prima, sembravano immutabili.
La pandemia ha contribuito a mescolare le carte sul tavolo, costringendo ciascun governo, in nome di un’emergenza senza precedenti, a partorire modelli e ricette anti Covid più o meno liberali, e scatenando conseguenti polemiche non ancora del tutto assorbite. Ci sono, poi, innumerevoli tematiche che spingono – e continueranno a spingere – i Paesi a fornire determinate risposte ai propri cittadini. Pensiamo al fenomeno migratorio, alla criminalità e alle crisi economiche: non sempre le democrazie hanno oggettivamente prevalso, in termini di efficacia, in un ipotetico confronto con altri sistemi politici.
Tutto questo, oltre ad alimentare infiniti dibattiti sulle “democrazie in declino”, sulle democrazie a corto di idee e incapaci di offrire risposte concrete ai nuovi problemi dei cittadini, ha reso indirettamente le autocrazie sempre più attraenti. Trovandoci in una Guerra Fredda 2.0, le propagande incrociate dei due blocchi hanno fatto il resto, confondendo ulteriormente la già fin troppo disorientata platea elettorale.
Trasformazioni in corso
L’Istituto internazionale per la democrazia e l’assistenza elettorale (IDEA) ha realizzato un report intitolato Global State of Democracy 2022. Il documento ha acceso i riflettori su un fatto particolarmente emblematico: il numero di Paesi con la più grave erosione democratica è al suo apice, e comprende persino democrazie consolidate come l’India e gli Stati Uniti.
Il think tank con sede a Stoccolma ha rilevato potenziali trasformazioni politiche in nazioni che, solitamente, hanno sempre navigato su standard democratici di livello medio-alti. In altre parole, in tutto il mondo sempre più Paesi si starebbero muovendo verso l’autoritarismo, mentre la democrazia allo stesso tempo sarebbe in erosione.
IDEA ha fatto presente che metà delle democrazie del mondo sono in uno stato di declino a causa del peggioramento delle libertà civili e dello stato di diritto. Il progressivo declino democratico rischia quindi di consolidarsi anche nel 2023. Soprattutto nelle regioni più fragili, dove le conseguenze della pandemia di Covid-19, della guerra tra Russia e Ucraina, dell’aumento del costo della vita, del cambiamento climatico e di una probabile, incombente, recessione globale si faranno sentire in maniera evidente.
L’Economist aveva precedentemente lanciato l’allarme nell’ultima edizione del Democracy Index del 2021. Il sondaggio annuale, che valuta lo stato della democrazia in 167 Paesi sulla base di cinque misure (processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica democratica e libertà civili), ha rilevato che più di un terzo della popolazione mondiale vive sotto un regime autoritario e che solo il 6,4% gode di una democrazia completa.
Il punteggio globale, inoltre, è sceso da 5,37 a un nuovo minimo di 5,28 su dieci. L’unico calo equivalente dal 2006 è stato nel 2010 dopo la crisi finanziaria globale. I Paesi nordici continuano a dominare la vetta della classifica, a conferma della forza delle loro democrazie. Tre Paesi asiatici sono fanalini di coda: la Corea del Nord è stata scalzata per la prima volta dal fondo della classifica dal colpo di Stato in Myanmar e dal ritorno dei talebani in Afghanistan.
Il confronto tra Cina e Stati Uniti
Il declino della democrazia globale include l’indebolimento dei risultati elettorali credibili, le restrizioni alle libertà e ai diritti online, la disillusione giovanile nei confronti dei partiti politici, nonché leader fuori dal mondo e una corruzione intrattabile.
In ogni caso, nel 2023 sarà interessante capire come si svilupperà il duello tra Cina e Stati Uniti. Oltre la Muraglia, Xi Jinping ha appena consolidato il suo potere, ottenendo un inedito terzo mandato da segretario del Partito Comunista Cinese, in attesa di blindare anche la presidenza della Repubblica Popolare Cinese. Le recenti proteste della popolazione contro le severe norme anti Covid non sembrerebbero aver scalfito il potere cinese. Neppure il rallentamento economico del Dragone appare, al momento, una minaccia in grado di far vacillare Xi. Tuttavia, a maggior ragione dopo tre anni di chiusura totale, la società cinese è sempre più simile ad una pentola a pressione.
Negli Stati Uniti, invece, Joe Biden ha limitato i danni alle ultime Midterm ma deve fare i conti con le solite contraddizioni interne che minacciano il tessuto sociale dell’America più profonda: disuguaglianza, razzismo, violenza. L’assalto a Capitol Hill sembra essere alle spalle ma il 2023 potrebbe rivelarsi l’anno della verità nel testa a testa con Pechino.