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Negli ultimi dieci giorni il Regno Unito è stato il centro del mondo come secoli fa. La morte della sovrana Elisabetta II ha offuscato vertici, crisi politiche e perfino il conflitto in Ucraina nella cronaca, sia politica che di colore: un summit diplomatico con i colori del lutto e riti ancestrali. Nulla in questi ore è stato lasciato al caso. Inviti, l’arrivo delle delegazioni, il loro trattamento, la loro posizione alla cerimonia funebre, non sono affatto casuali: riflettono vicinanze politiche e freddezze diplomatiche. Così come il passato, il presente e il futuro delle relazioni internazionali del Regno Unito tra presenze, ma soprattutto assenze importanti.

Gli esclusi

Da quando è stata annunciata la morte della Regina Elisabetta, una task force voluta dal governo ha lavorato freneticamente in una sede battezzata “The Hangar” per sciogliere l’intricato nodo degli inviti ai funerali della sovrana.

Per comprendere il valore geopolitico della cerimonia funebre, basta partire dagli esclusi al consesso di potenti: l’8 settembre scorso, alla notizia della morte di Elisabetta, il presidente russo Vladimir Putin aveva immediatamente annunciato che non avrebbe partecipato ai funerali della sovrana. Solo dopo, da Buckingham Palace era giunta la notizia che che il governo britannico aveva ufficialmente escluso la Russia dagli inviti alla cerimonia funebre di Stato. La ragione? Piuttosto ovvia. Stesso discorso per la Bielorussia, sua accolita nel conflitto in Ucraina, e per la Birmania, a sua volta sanzionata dopo l’ultimo golpe militare. Mossa ben più sagace con l’Iran: le autorità di Teheran sono state formalmente invitate, ma a livello di ambasciatore che, come è d’uopo, non porta pena. Il messaggio è duplice: la repubblica islamica paga lo scotto dell’andamento generale in fatto di diritti umani e di minacce diplomatiche continue sul nucleare, che è la stessa ragione per la quale non si poteva escludere il regime di Teheran che, proprio in queste settimane, si presta ad una maggiore iniziativa diplomatica.

Agli esclusi celebri si sono poi aggiunti i rappresentanti non solo di governo, ma anche diplomatici, di Paesi sotto sanzioni da parte dell’Occidente come l’Afghanistan, la Siria e il Venezuela. Accesso consentito, invece, a Nicaragua e Corea del Nord, seppure invitati al livello di ambasciatori e non di governanti.

Gli inviti “imbarazzanti”

A suscitare imbarazzo anche le relazioni con l’Arabia Saudita. Il principe ereditario- e de facto sovrano – Mohammed Bin Salman è stato invitato, ma non ha partecipato al funerale. Sarebbe stata la sua prima visita dall’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel 2018. L’Arabia Saudita è stata invece rappresentata dal principe Turki bin Mohammed al Saud, ministro di Stato e membro del gabinetto dal 2018. È il nipote del defunto re Fahd e fa parte della nuova generazione che è stata portata al potere dal principe Mohammed.

Un vero giallo è stato quello che ha visto protagonista l’invito alle autorità di Pechino. Negli scorsi giorni a una delegazione del governo cinese sarebbe stato vietato dalle autorità della Camera dei Comuni il permesso di partecipare alla veglia per la regina Elisabetta a Westminster Hall. “La partecipazione di delegazioni straniere ai funerali della regina su invito del Regno Unito è un segno di rispetto per la regina”, aveva poi tuonato la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Mao Ning, in risposta a una domanda sull’episodio. Xi Jinping alla fine è stato invitato, scelto molto criticata da alcuni parlamentari in merito alla vicenda uigura. Ma questo non era affatto il momento per irritare la Cina, nel pieno della sua triangolazione con Occidente e Russia. Sabato scorso, poi, il via libera: il governo cinese ha confermato che il vicepresidente Wang Qishan avrebbe partecipato al funerale.

Commonwealth e “Paesi amici”

Attesi con tutti gli onori, i “Paesi amici”. Ruolo di primo piano ai “sudditi” del Commonwealth, che negli ultimi anni naviga in acque quanto mai agitate, tra scandali e disaffezione. I leader di tutto l’ex impero britannico sono giunti ad onorare la defunta sovrana: il primo ministro australiano Anthony Albanese, così come il primo ministro neozelandese Jacinda Ardern e il primo ministro canadese Justin Trudeau. Anche il primo ministro del Bangladesh di lunga data Sheikh Hasina e il presidente indiano Droupadi Murmu hanno raggiunto Londra per partecipare al funerale. Così come il sudafricano Cyril Ramaphosa, il keniota William Ruto. Il ruandese Paul Kagame, l’attuale presidente del Commonwealth, è stato presente insieme ad Ali Bongo, presidente del Gabon, ex colonia francese, l’ultimo membro del gruppo.

Immancabile la presenza del presidente degli Stati Uniti Joe Biden e della first lady Jill: la special relationship non si tocca, soprattutto in tempi difficili. Immancabili gli altri leader europei, a testimonianza che nemmeno la Brexit scalfisce le relazioni ataviche tra l’isola e il continente: il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, il presidente italiano Sergio Mattarella e il presidente francese Emmanuel Macron. Presenze simboliche importanti, che mandano messaggi fuori dall’Europa: assente, ovviamente, ai funerali il presidente ucraino Zelensky. A rappresentarlo la moglie Olena Zelenska: a lei il compito di onorare i rapporti tra i due Paesi. Ma soprattutto, nel regno della Brexit, presenti le alte cariche dell’Unione europea: la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il capo del Consiglio europeo Charles Michel.

Ma la cerimonia funebre è anche un meeting fra teste coronate, fossili del tempo che fu che in queste cerimonie si riconoscono reciprocamente, specchiandosi gli uni negli altri. Il re del Belgio Filippo e la regina Matilde, così come il re Guglielmo Alessandro dei Paesi Bassi e sua moglie, la regina Maxima, insieme a sua madre, l’ex regina olandese, la principessa Beatrice. Anche il re Felipe e la regina Letizia di Spagna hanno accettato l’invito, così come le famiglie reali di Norvegia, Svezia, Danimarca e Monaco, così come il re del Bhutan Jigme Khesar Namgyel Wangchuk. E ancora, l’imperatore Naruhito e l’imperatrice Masako del Giappone: una presenza dall’altissimo valore diplomatico, questa. Uno strappo alla tradizione giapponese che non prevede la presenza di un imperatore ai funerali poichè la morte è sempre considerata “impura” nella visione religiosa shinto di cui la figura dell’imperatore è uno dei capisaldi.

Cadute di stile e logica delle distanze

Non sono mancati inviti sommersi dai fischi e dalle critiche, oltre che numerose cadute di stile. Il presidente armeno Vahagn Khachaturyan ha agitato i tabloid britannici quando è stato visto posare per una foto scattata da uno dei suoi davanti alla bara della regina. Il Daily Mail ha deriso il primo ministro “ribelle” di Antigua e Barbuda, Gaston Browne, che ha stretto la mano al re a Buckingham Palace pochi giorni dopo aver rilanciato i piani per un referendum per decidere se convertire la sua nazione in una repubblica. Per il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, l’evento ha offerto l’opportunità di presentarsi sulla scena mondiale nelle ultime settimane di una campagna elettorale profondamente divisiva e accesa.

La disposizione delle delegazioni all’interno di Westminster ha avuto un preciso significato, che va ben oltre gli inviti. Lì, fra i banchi, ossequianti la regale manifestazione di ciò che è “la livella”, non tutti sono stati uguali. I capi di Stato e di governo non erano seduti ai primi banchi, bensì decisamente defilati rispetto alla royal family, alle autorità britanniche, ai dignitari di corte. Quasi a ricordare che in terra britannica esiste un solo sovrano, e che la politica britannica, seppure nel cerimoniale, è ancora in grado di eclissare i “potenti borghesi”, di decidere per sé, di fare da sé. “Il funerale della regina diventa la propria assemblea delle Nazioni Unite”, ha titolato oggi il Washington Post. L’unicità del momento è aggravata dal suo tempismo. Molti dei leader mondiali riuniti a Londra-stipati come bravi scolaretti in grandi bus- dovranno affrettarsi verso New York, dove sta per iniziare la sessione annuale ad alto livello dell’Assemblea generale dell’Onu: “The Queen” ha avuto la precedenza anche questa volta.

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