La pandemia di Covid-19 ha rafforzato i legami tra la Cina e i Paesi dell’area balcanica. Dalle mascherine protettive ai macchinari per la respirazione, dai kit per effettuare tamponi al personale medico in carne e ossa: nella fase più dura dell’emergenza sanitaria, la scorsa primavera, Pechino ha inviato nella regione una serie di aiuti sanitari assai graditi dai presidenti locali. Molti dei quali – è il caso di Aleksandar Vucic, premier serbo, ma anche del collega ungherese Viktor Orban – entrati in aperta polemica con l’Unione europea per il mancato supporto garantito da Bruxelles.
Archiviata la prima fase della pandemia, la Cina è tornata nuovamente protagonista grazie ai vaccini. Da dicembre in poi, l’intera area balcanica, a tutti gli effetti l’estrema periferia dell’Ue, si è ritrovata a fare i conti con una grave carenza di vaccini. Budapest, di per sé euroscettica ai massimi livelli, ha letteralmente mandato al diavolo Bruxelles accordandosi con Pechino e Mosca. Belgrado ha fatto esattamente gli stessi passi, e molti altri Paesi potrebbero presto aggiungersi alla lista. Facciamo un passo indietro. Ben prima del coronavirus, la Cina aveva inserito i Balcani tra le massime priorità della sua politica estera. Il motivo è semplice: la Belt and Road Initiative, maestoso progetto infrastrutturale partorito da Xi Jinping per connettere, non solo commercialmente, Asia, Europa e Africa, è stata pensata per transitare anche proprio lungo la dorsale balcanica.
L’importanza strategica dei Balcani
A febbraio, in occasione del summit 17+1, piattaforma dedicata alla cooperazione tra la Cina e i Paesi dell’Europa centrale e orientale, Pechino ha spiegato di essere disposta a portare le importazioni da queste nazioni a un valore di oltre 140.53 miliardi di euro nel giro di cinque anni. Chiaro l’intento del gigante asiatico: creare nuove partnership, oliare i tentacoli della Bri, incrementare gli accordi esistenti. In altre parole, riempire – legittimamente – un vuoto strategico fondamentale così da poter meglio dialogare con il resto del Vecchio Continente.
Lo schema collaborativo proposto dalla Cina è tanto semplice quanto efficace. In cambio di know-how, investimenti e della realizzazione di infrastrutture – tutti aspetti dei quali i Paesi balcanici hanno estremo bisogno -, Pechino è ben disposta a prestare denaro sonante ai suoi partner. I quali, presto o tardi, saranno chiamati a onorare il debito, in forma diretta (soldi) o indiretta (concessioni). Il punto è che alcuni governi hanno probabilmente esagerato, ritrovandosi in posizioni alquanto scomode.
Il caso del Montenegro
Prendiamo il Montenegro. Secondo quanto riportato dal Financial Times, Podgorica ha chiesto aiuto all’Ue per ripagare il debito da un miliardo di dollari per la costruzione di un’autostrada di circa 165 chilometri finanziata dalla Cina. L’infrastruttura in questione, non ancora completata e, in base ad un accordo stipulato nel 2014, costruita dalla China Road and Bridge Corporation, dovrebbe collegare il porto montenegrino di Antivari, Bar, alla località di Boljare. Usiamo il condizionale, perché non sappiamo che fine farà questo progetto.
Soltanto per la realizzazione dell’85% del primo tratto di 41 chilometri avrebbe costretto il Montenegro a indebitarsi per 810 milioni di euro con la Exim Bank of China. “I costi totali del progetto sono stimati a oltre il 23% del Pil del 2014. Nel 2018 il debito salirà quasi all’80% del Pil””, scriveva, nel 2018, l’agenzia di rating Moody’s, lanciando un pericoloso campanello d’allarme sulla sostenibilità della realizzazione dell’autostrada. Oggi, alle prese con una spada di Damocle pesantissima, il Paese balcanico ha alzato bandiera bianca chiedendo aiuto alle istituzioni europee. Il ministro delle Finanze montenegrino, Milojko Spajic, ha usato parole emblematiche: il Montenegro, al momento, sta facendo “grande affidamento” sulla Cina per ottemperare i propri obblighi economici, ma questo renderebbe la situazione “drammatica” da un punto di vista geopolitico. “Dobbiamo meglio connetterci con i nostri alleati europei. Dobbiamo riallineare la nostra economia con quella europea”, ha aggiunto il ministro.
Il portavoce della Commissione europea, Peter Stano, è stato altrettanto chiaro. L’Unione europea non pagherà i debiti contratti dal Montenegro con la Cina. “Ogni Paese è libero di stabilire i propri obiettivi di investimento. Quando si tratta di Montenegro e Cina, siamo preoccupati per gli effetti socio-economici e finanziari che alcuni investimenti cinesi possano avere” sul Paese perché ci sono rischi di “sbilanciamento macroeconomico e dipendenza dal debito”, ha chiarito Stano, sottolineando tuttavia che Bruxelles continuerà a stare al fianco di Podgorica, ma che non ripagherà i prestiti che essa ha “contratto con forze terze”. Ricordiamo che la Cina detiene un quarto del debito del Montenegro. Nonostante i ritardi nella costruzione dell’autostrada, e a meno di una ristrutturazione del debito cinese (come avvenuto nel caso di alcuni Paesi africani), il primo rimborso dovrebbe scattare a luglio. In caso di eventuale insolvenza, ha specificato Agenzia Nova, i termini del contratto darebbero a Pechino il diritto alla terra montenegrina come garanzia.