Prima che la campagna elettorale entri nel vivo e si concentri sulle preoccupazioni degli americani del Mid-West Joe Biden cerca di accelerare sull’approvazione di accordi in grado di rispondere alle due fondamentali direttrici della sua politica estera: contenere la Cina e fermare le mire espansionistiche della Russia in Europa e ovunque sia necessario. Il tutto seguendo la massima di Barack Obama: don’t do stupid sh*t

Rientrano in questo schema gli accordi per la cooperazione militare e di intelligence siglati ad agosto a Camp David da Biden, dal presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol e dal primo ministro giapponese Fumio Kishida. Il vertice è riuscito nell’intento di avvicinare Tokyo e Seul, partner strategici degli Stati Uniti ma, per ragioni storiche legate alla politica colonialista del Giappone del secolo scorso, spesso in contrasto tra loro. Anche il patto di cooperazione sui sottomarini tra America, Regno Unito e Australia (Aukus) firmato a marzo a San Diego mostra la predilezione di Biden per la diplomazia trilaterale come formula per contrastare il risveglio del Paese del dragone. 

La nuova sfida che attende il presidente prevede un ritorno al Medio Oriente, una regione che per piĂą di 20 anni ha divorato risorse e vite americane e dove Russia e Cina ora puntano ad accrescere la loro influenza. Dopo il tentativo di Barack Obama di resettare la politica estera Usa all’insegna del pivot to Asia, il suo successore, il repubblicano Donald Trump, ha voluto affrontare la questione israelo-palestinese con l’approccio transazionale tipico dell’uomo d’affari. 

Complici la collaborazione di un uomo “forte” come Benjamin Netanyahu in Israele e il tacito appoggio esterno del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (MBS), Trump ha dato vita nel 2020 agli accordi di Abramo. Le dichiarazioni di intenti firmate da Israele con Emirati Arabi Uniti e Bahrein e ai quali poi si sono aggiunti Marocco e Sudan hanno permesso di realizzare una normalizzazione delle relazioni, sin lì di fatto assenti, con lo Stato ebraico. I benefici riservati alla Palestina però sono stati marginali, come dimostrano anche la recrudescenza della violenza negli ultimi mesi in Cisgiordania. 

Adesso Biden eredita il dossier mediorientale con la prospettiva di integrare negli accordi di Abramo l’Arabia Saudita, un risultato che ridarebbe slancio alla sua politica estera ancora segnata dal drammatico ritiro delle forze americane dall’Afghanistan. La contropartita richiesta da Riad per allacciare i rapporti con Gerusalemme, oltre a non precisate concessioni di Netanyahu ai palestinesi, consisterebbe nella firma di un trattato di mutua difesa con gli Stati Uniti. Secondo le indiscrezioni riportate dal New York Times, tale intesa comporterebbe il sostegno militare nel caso in cui uno dei due alleati venisse attaccato nella regione o sul territorio saudita. MBS avrebbe anche chiesto l’aiuto degli Stati Uniti per sviluppare un programma nucleare a scopi civili. 

Gli sherpa dei due Paesi starebbero lavorando ad accordi simili a quelli firmati con il Giappone nel 1951, poi aggiornato nel 1960, e con la Corea del Sud nel 1953. Secondo Julian Ku, professore di diritto internazionale e costituzionale alla Hofstra University, il testo del trattato con l’Arabia Saudita non dovrebbe contenere espressioni di un deciso intervento militare come invece previsto dalla Nato ma, menzionerebbe un “serio impegno in caso di attacco”. 

I negoziati in corso segnano una ripresa delle relazioni tra Biden e il principe ereditario saudita. A seguito del coinvolgimento di quest’ultimo nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi in Turchia, nel 2020 il futuro presidente aveva promesso che avrebbe reso l’Arabia Saudita un “paria” della comunitĂ  internazionale. Come accaduto però anche con il premier indiano Narendra Modi, la necessitĂ  di costruire relazioni diplomatiche in grado di fare fronte alle sfide globali ha fatto sì che l’attenzione per il rispetto dei diritti umani sia passato in secondo piano.

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