I Balcani continuano a vivere momenti di tensione, con focolai che esplodono più o meno violentemente in tutti quei territori dove le ferite del passato e le fragilità storiche della regione non sembrano doversi risolvere.
In Kosovo, dopo che la diplomazia internazionale, la Nato, Pristina e Belgrado si erano impegnato per far toglier le barricate a Mitrovica, sono tornate le proteste della comunità serba, ma questa volta a Strpce, enclave nel sud del Paese. Migliaia di persone hanno manifestato per denunciare un attacco armato contro due uomini di etnia serba avvenuto alla vigilia del Natale ortodosso. La polizia kosovara ha arrestato nel giro di poche ore l’autore dell’attacco, un uomo di etnia albanese. Ma l’azione delle forze dell’ordine non è bastata a placare gli animi, con la Lista serba che ha accusato il governo di Albin Kurti di non garantire la sicurezza della minoranza e la Serbia che ha nelle stesse ore denunciato il rifiuto della Nato ad approvare la richiesta di Belgrado di inviare truppe come previsto dalla risoluzione 1244 delle Nazioni Unite. La crisi tra le due etnie non sembra quindi destinata a interrompersi nonostante i negoziati per la rimozione delle barricate nel nord e l’intervento di tutte le parti coinvolte nel fragile equilibrio kosovaro. E le manifestazioni di Strpce rappresentano l’ennesimo campanello d’allarme di una realtà che appare molto lontana da una reale pacificazione.
Oltre al Kosovo, in questi giorni è tornata inoltre d’attualità la situazione della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, la Republika Srpska. Milorad Dodik, presidente della repubblica serba di Bosnia, ha ribadito in queste ore il suo convincimento sulla secessione dal Paese e sull’unione con la Serbia. E in occasione della festa della Republika Srpska – festa dichiarata incostituzionale dalla corte di Sarajevo – il leader dei serbi di Bosnia ha detto che “non c’è mai stato un popolo serbo bosniaco, ma solo i serbi che hanno diritto all’espressione democratica e al raduno”. E tra le migliaia di unità di forze di sicurezza serbo-bosniache, inno serbo e incontri con le delegazioni dei Paesi alleati, Dodik ha anche annunciato di volere consegnare un’onorificenza al presidente russo Vladimir Putin descrivendo quest’ultimo come “l’artefice dello sviluppo e del rafforzamento della cooperazione e delle relazioni politiche e di amicizia tra la Republika Srpska e la Russia” e grazie al quale “la voce e la posizione della Republika Srpska sono ascoltate e e rispettate” e questa è “preservata dall’assalto dell’interventismo internazionale”. Un segnale che non è stato affatto sottovalutato dagli Stati Uniti che, attraverso l’ambasciata a Sarajevo, hanno condannato la scelta di Dodik definendo il leader russo come “un uomo che senza motivo ha scatenato l’invasione dell’Ucraina, provocando la morte di migliaia di civili e immani distruzioni”.
La delegazione Usa ha poi continuato ricordando l’incostituzionalità della Giornata della Republika Srpska, ma è chiaro che da parte dell’entità guidata da Dodik non vi è interesse ad ascoltare né tantomeno di condividere le posizione di Washington. E anche se non vi sono stati incidenti, non sorprende che l’intelligence bosniaca abbia dato notizia della presenza di cittadini russi alle celebrazioni della Repubblica serba. A voler sottolineare il legame con Mosca ma anche l’interesse del blocco occidentale ad accendere i riflettori sui pericoli di contagio per la regione.
Tutte le regioni legate a Belgrado in questo momento sono in subbuglio. E le comunità serbe di Kosovo e Bosnia rappresentano per la Nato quanto per l’Unione europea termometri fondamentali sia del rischio di una crisi balcanica di portata regionale, sia delle conseguenze degli errori compiuti in questi anni o delle sottovalutazioni dei nodi irrisolti. A mancata integrazione, assenza di sviluppo, questioni ataviche di matrice etnica e nazionalista, si innestano crisi internazionali e mondiali che possono incendiare anche quel fragile equilibrio. E con lo scontro tra Russia e Stati Uniti, proprio mentre l’Ue punta nuovamente gli occhi sui Balcani occidentali, sulla regione aleggiano punti interrogativi fondamentali per il futuro.