Riprendere il dialogo con l’Europa, raffreddare le tensioni con gli Stati Uniti, stringere i rapporti con i Paesi in via di Sviluppo e ritagliarsi uno spazio di manovra rilevante nella regione asiatica, collaborando con i membri ASEAN e smussando le divergenze con Corea del Sud e Giappone. Nelle ultime settimane Xi Jinping ha incontrato molteplici leader stranieri, segnando così il suo definitivo ritorno sulla scena internazionale nell’epoca post Covid.

Se lo scorso 14 settembre il presidente cinese ha fatto tappa ad Astana, in Kazakhstan (dove, nelle stesse ore, era presente anche Papa Francesco), per la prima visita di Stato all’estero dal 2020, subito seguita dal vertice dei leader dei Paesi della Shanghai Cooperation Organization, a Samarcanda, in Uzbekistan, il 4 novembre Xi ha accolto a Pechino il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Prima ancora, c’erano stati altri due incontri, sempre in Cina, tra lo stesso Xi Jinping e la sua omologa della Tanzania, Samia Suluhu Hassan, e il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif.

Il clou delle attività diplomatiche, per Xi, si è tuttavia concentrato tra il 15 e il 16 novembre, in occasione del G20 di Bali. In Indonesia il presidente cinese ha fatto incetta di strette di mano. Si va dal premier italiano Giorgia Meloni al “padrone di casa”, il presidente indonesiano Joko Widodo, da Joe Biden ad Emmanuel Macron, passando per i bilaterali tenuti con il sudcoreano Yoon Suk Yeol, l’argentino Alberto Fernández, il primo ministro australiano Anthony Albanese e tanti altri leader, in un tripudio di foto di rito e dichiarazioni congiunte.



Certo, non sono mancate un paio di macchie diplomatiche. Come il diverbio avvenuto tra Xi e il primo ministro canadese, Justin Trudeau, ripreso dalle telecamere ma ridimensionato nei toni dai rappresentanti cinesi, la cancellazione del meeting con il primo ministro britannico Rishi Sunak, annullato per motivi organizzativi (Downing street ha precisato che gli “spostamenti sui tempi da entrambe le parti” hanno portato alla cancellazione dell’incontro che tuttavia Sunak avrebbe voluto mantenere in agenda), e la semplice ma cordiale stretta di mano con Narendra Modi.

Nel complesso, il ritorno di Xi Jinping al centro della scena diplomatica mondiale ha però consentito alla Cina di centrare almeno due importanti obiettivi: l’inizio di una distensione con gli Stati Uniti – l’ennesima di questi ultimi, turbolenti, anni –, che ha permesso e permetterà di conseguenza anche una probabile ripresa dei rapporti tra il Dragone e l’Europa, e il rafforzamento del multilateralismo.

Nell’ottica cinese possiamo distinguere almeno tre aree diplomatiche distinte coincidenti con altrettante regioni geopoliticamente rilevanti: l’Europa, l’Asia e i Paesi in via di sviluppo (Africa, America Latina e parte del sud-est asiatico). Il lavoro di Xi si concentra proprio su questi compartimenti, con la volontà di oliare una nuova diplomazia e rendere la Cina la protettrice delle nazioni economicamente più arretrate. E, di conseguenza, togliere spazio d’azione agli Stati Uniti. Con i quali è sì in corso una distensione, ma con i quali non mancano enormi divergenze (da Taiwan al macro tema dei diritti umani).

Cosa vuole la Cina

La Cina ha esercitato un’azione diplomatica a tutto tondo volta a ricucire alcuni rapporti diplomatici, come quello con Australia, Giappone e Corea del Sud, e, più in generale, ad archiviare gli attriti con l’Occidente, che spaziano dalle violazioni dei diritti umani ai danni degli uiguri, alla repressione a Hong Kong, fino alle tensioni con Taiwan e alle critiche sulle pratiche economico-commerciali cinesi.

La guerra in Ucraina e il rapporto con l’Unione Europea hanno avuto un ruolo prioritario negli incontri di Xi Jinping, ma non sono ovviamente mancate altre tematiche. Xi e Macron, ad esempio, hanno discusso del conflitto ucraino ma anche di finanziamento ai Paesi più vulnerabili, nonché del ruolo del G20 per placare i mercati agricoli. Il leader cinese ha infatti chiesto alla comunità internazionale di “creare le condizioni” per il cessate il fuoco e la pace in Ucraina e ha ribadito che la Cina è pronta a un “ruolo costruttivo a modo suo” per fermare la crisi ucraina. 

Il presidente cinese ha poi anche sollecitato Macron a spingere l’Unione Europea a una “politica indipendente e attiva” con Pechino, e a rafforzare la cooperazione tra Pechino, Parigi e Bruxelles. Tradotto: l’Europa si smarchi dalla pressione di Washington. Non è un caso che Xi abbia chiesto cooperazione e “un ruolo più attivo” per uno sviluppo “sano e stabile” delle relazioni tra Cina e Unione europea. Il messaggio più chiaro, però, riguarda gli scambi economico-commerciali: il Dragone non vuole il decoupling né la separazione delle economie. Al contrario, i cinesi spingono sul concetto di “comunità umana dal futuro condiviso” e su relazioni win-win. Restano, sullo sfondo, i già enunciati nodi spinosi da sciogliere.

I rapporti con l’Occidente

I rapporti con l’Occidente devono rimettersi in moto. Per la Cina sarebbe impossibile, oltre che controproducente, entrare a gamba tesa sul blocco occidentale come sta facendo la Russia di Vladimir Putin. Al netto delle diversità, Pechino è ben felice di fare affari tanto con gli Stati Uniti quanto con l’Europa. Attenzione però, perché mentre con Washington esiste una oggettiva rivalità sistemica, il gigante asiatico non considera Bruxelles un rivale quanto un mercato ghiottissimo sul quale continuare a far leva per migliorare i settori chiave della propria economia.

Xi sa bene di non poter trovare troppe fumate bianche nella riottosa Europa senza prima passare dagli Stati Uniti. L’incontro con Biden era dunque fondamentale, se non propedeutico, per consentire al leader cinese di procedere anche sul versante europeo. Xi Jinping ha avuto bilaterali con Giorgia Meloni (interessante unicum: di solito i presidenti cinesi non sono soliti incontrare presidenti appena eletti), Emmanuel Macron e Pedro Sanchez, ai quali bisogna aggiungere il meeting pre Bali avuto con Scholz.

Durante il G20 la Cina è tornata a spingere i grandi temi che promuove da tempo: il no allo scontro tra blocchi e alle divisioni, a maggior ragione in un momento di “tremende sfide” allo sviluppo globale, l’appello a revocare le sanzioni unilaterali e le restrizioni alla cooperazione.

I Paesi in via di sviluppo e la regione asiatica

A sei anni dall’ultimo summit con un primo ministro australiano, Xi ha incontrato il premier Anthony Albanese, per un primo passo verso il disgelo delle relazioni, crollate negli ultimi anni sulle accuse di infiltrazioni politiche di Pechino e di spionaggio ai danni dell’Australia, e deflagrate sulle polemiche di Canberra per l’origine del Covid-19 e sull’accresciuto ruolo di Pechino della Cina nell’Oceano Pacifico, a cui si aggiunge l’irritazione cinese per i “circoli ristretti” del Quad e dell’Aukus, l’alleanza siglata lo scorso anno tra Australia, Gran Bretagna e Stati Uniti. 

Sempre per quanto riguarda l’Indo-Pacifico, Xi ha incontrato il suo omologo sudcoreano, Yoon Suk Yeol, per ricalibrare i rapporti economici tra i due Paesi e affrontare la questione nordcoreana. Nei prossimi giorni seguirà un meeting, che verterà sugli stessi temi, con il leader giapponese Fumio Kishida.

In ogni caso Xi ha richiamato più volte nel suo intervento al summit il ruolo delle economie in via di sviluppo – di cui la Cina si erge a capofila – nell’attuale situazione di crisi innescata dalla guerra in Ucraina e dalle crisi alimentare ed energetica. La Cina, ha detto Xi, sostiene l’Unione Africana ad aderire al G20, e nei colloqui bilaterali con il presidente sudafricano, Cyryl Ramaphosa, e con il suo omologo senegalese, Macky Sall, si è concentrato sui temi della cooperazione e della costruzione di infrastrutture nel continente attraverso l’iniziativa Belt and Road, la nuova Via della Seta lanciata da Xi, citata anche in occasione dell’incontro con il presidente argentino Alberto Fernandez. Il lavoro diplomatico della Cina è appena iniziato, o meglio ricominciato, dopo il lungo inverno del Covid.

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