Nancy Pelosi, 82 anni e Speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, è atterata a Taiwan. Il viaggio è stato effettuato contro il parere del Pentagono, che le aveva fortemente sconsigliato questa trasferta diplomatica, e soprattutto sapendo di “provocare” una possibile reazione da parte di Pechino, che non riconosce la sovranità di Formosa e la considera come parte del suo territorio. Lo stato, da ambo le parti, è di massima allerta. Le autorità di Taiwan si stanno preparando alla potenziale crisi causata dalla visita di Pelosi. I media locali dell’isola hanno riferito che l’esercito è entrato in uno speciale “periodo di preparazione al combattimento” di 3 giorni da martedì mattina a mezzogiorno del 4 agosto, mentre l’esercito di Tapei ha inviato otto caccia Mirage alla base aerea di Taitung, aumentando il numero totale di Mirage da 4 a 12 presenti nella base.
Nel frattempo, secondo quanto riferito, anche la USS Ronald Reagan che scorta Pelosi si sta avvicinando all’isola di Taiwan. Un think tank con sede a Pechino, il Strategic Situation Probing Initiative, afferma che la portaerei si trova già nelle acque vicine a est del Canale di Bashi, La nave d’assalto anfibia USS Tripoli è anch’essa nei pressi dell’isola giapponese di Okinawa, così come la USS America, schierata a Sasebo, in Giappone. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha avvertito che in merito alla potenziale visita di Pelosi a Taiwan l’esercito cinese “non resterà a guardare” e prenderà “contromisure decise e forti” per proteggere la sovranità e l’integrità territoriale della Cina. Citando una fonte anonima, la Reuters ha riferito che diversi aerei dell’Esercito popolare di liberazione (PLA) hanno volato vicino alla “linea mediana” dello Stretto di Taiwan, nella mattinata di martedì. La tensione è alle stelle e Nancy Pelosi ne è perfettamente consapevole.
L’internazionalismo liberale di Nancy Pelosi
La Speaker della Camera rappresenta quell’ala internazionalista liberale del partito democratico che promuove una politica estera fortemente aggressiva. Un messianesimo carico di retorica sui valori della democrazia e del libero mercato, che si scontra con gli interessi “particolari” delle nazioni che non si intendono adeguare a questo modo di intendere la politica internazionale e ai suddetti valori. Come ricorda Politico, Pelosi era tra gli esponenti del partito democratico che chiedeva a gran voce di intervenire militarmente contro la Siria nel 2013. Tuttavia, la Presidente della Camera ha un conto aperto contro Pechino, figlio di un antagonismo decennale. “Se non puoi difendere i diritti umani in Cina a causa di interessi commerciali, perdi ogni autorità morale per parlarne in qualsiasi luogo”, ha di recente dichiarato Pelosi.
Nel corso delle ultime settimane, l’esponente dem ha ricevuto sostegno bipartisan a visitare Taiwan, nonostante le remore dell’amministrazione Biden e la retorica sempre più bellicosa di Pechino. Fra i suoi sostenitori c’è anche l’ex Speaker della Camera Newt Gingrich, che si è recato sull’isola nel 1997. Oltre a lui anche il senatore Bob Menendez, secondo il quale “se consentiamo ai cinesi di dettare chi può visitare Taiwan e chi no, allora abbiamo già ceduto Taiwan ai cinesi”. Dal canto suo, Pechino considera da tempo Pelosi come “persona non grata”, a cominciare dal suo sostegno ai movimenti democratici e per i diritti umani della Cina alla fine degli anni ’80.
Pelosi era al Congresso da appena due anni quando il governo cinese, nel 1989, si mosse per reprimere le manifestazioni di piazza Tienanmen, schiacciando con la forza i manifestanti e giustiziando centinaia di persone. Pochi giorni dopo quei fatti, Pelosi fece approvare dalla Camera una risoluzione bipartisan che condannava le azioni del governo comunista. In seguito, si scontrò con l’allora presidente George H.W. Bush, che pose il veto al suo disegno di legge volto a proteggere gli studenti cinesi che studiavano all’estero negli Stati Uniti. Due anni dopo, Nancy Palosi si unì a una visita bipartisan a Piazza Tienanmen dove srotolò uno striscione decorato con le parole “a coloro che sono morti per la democrazia in Cina”. Gli agenti di polizia cinesi si mossero immediatamente per sedare la protesta e arrestarono i giornalisti occidentali sul posto.
“Così Pelosi mi fece arrestare”
Fra i giornalisti arrestati quel giorno c’era Mike Chinoy, ex caposervizio della Cnn in Cina. In un articolo pubblicato su Foreign Policy, racconta di come, nel settembre 1991, l’allora deputata Nancy Pelosi lo fece arrestare. “Durante un viaggio a Pechino con una delegazione del Congresso, una delle sue colleghe mi avvertì che Pelosi e altri due membri del Congresso stavano progettando di allontanarsi dalle loro scorte ufficiali e visitare Piazza Tienanmen. Ma non mi fu detto che il piano che era quello, con le telecamere in funzione, di alzare uno striscione e deporre fiori per commemorare gli studenti uccisi due anni prima”. Pelosi e gli altri due membri del Congresso se ne andarono immediatamente, e così la polizia cinese se la prese con Chinoy e gli altri giornalisti malcapitati. Era la prima volta che Nancy Pelosi provocava consapevolmente il governo cinese. E oggi, più di trent’anni dopo, la politica italo-americana è pronta a una nuova provocazione in grande stile. Questa volta dalle conseguenze inimmaginabili per il destino del mondo.