Per il governo turco, è tempo di battere ancora cassa per attuare il progetto di accoglienza dei profughi, per la maggior parte siriani, presenti nel paese: da Bruxelles infatti, è pronta la seconda tranche di finanziamenti nell’ambito dell’accordo che prevede il pagamento, da parte dell’Europa, di complessivi tre miliardi di Euro ad Ankara la quale a sua volta si è impegnata a trattenere nel proprio territorio i migranti che vorrebbero risalire i Balcani e dirigersi nel nord del vecchio continente. Fino al novembre del 2017, sono state pari a 908 milioni di Euro le somme trasferite nelle casse turche, in questa parte finale dell’anno e nel mese di gennaio dovrebbe essere la volta di un altro miliardo da versare a favore del governo del presidente Erdogan; l’emergenza immigrazione lungo la rotta balcanica, è scoppiata soprattutto tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, con numerosi profughi siriani che, una volta in Turchia, hanno proseguito il loro cammino in Grecia e, da lì, hanno poi attraversato i paesi dell’ex Jugoslavia e l’Ungheria prima di giungere in gran parte in Germania. Per porre termine a questo flusso, nel marzo 2016 si è negoziato un accordo con il quale, per l’appunto, in cambio dello stop delle partenze dalla Turchia, per Ankara sono stati messi a disposizione sul piatto i tre miliardi di Euro sopra menzionati.

Come vengono utilizzati i fondi europei destinati alla Turchia

Le somme erogate da Bruxelles verso Ankara sono tassativamente vincolate: ogni centesimo sborsato dall’Unione Europea alla Turchia deve essere speso per l’accoglienza dei migranti presenti nel paese anatolico, in tal senso proprio nella capitale turca è stato aperto l’Ufficio Europeo per i Servizi per i Rifugiati il quale ha colpito di vigilare su quanto erogato e soprattutto su quanto viene speso. Secondo quanto riferito dall’agenzia AGI, attualmente dei 908 milioni di Euro pervenuto al governo di Ankara, circa 600 sono stati destinati all’istruzione dei rifugiati siriani ed all’assistenza sanitaria; si contano, in particolare, tre presidi di pronto soccorso attivati, il più importante dei quali nella città di Kilis: qui, in questo centro di confine con la Siria, una media di circa 500 pazienti siriani vengono visitati dal personale medico composto anch’esso in gran parte da siriani.





Non solo primarie cure mediche ma, stando al resoconto dell’Ufficio Europeo per i Rifugiati, nei centri viene fornita anche assistenza psicologica specie per chi, durante il conflitto siriano, sia stato spettatore o protagonista di violenze od ha comunque riportato traumi riconducibili alla guerra; il personale medico, come detto, è in gran parte composto da siriani e questo con il fine di facilitare i rapporti con i pazienti: una parte della cifra erogata dall’UE per la Turchia è servita proprio per la formazione dei medici siriani presenti nel paese, oltre che per aumentare la qualità dei servizi offerti tanto al personale medico quanto soprattutto ai pazienti. L’istruzione, che con la sanità compone la voce più importante di spesa dei finanziamenti europei, nei centri in cui vivono i rifugiati siriani ha subito un’importante trasformazione dopo l’erogazione dei primi fondi; sono infatti state chiuse molte delle scuole fondate dagli stessi rifugiati ed i profughi minorenni sono stati quindi inseriti nel servizio scolastico nazionale.

Una scelta, quest’ultima, che se da un lato ha voluto facilitare l’inserimento delle famiglie siriane nelle località turche dove vengono ospitate, dall’altro però ha generato non pochi malcontenti per via del timore di un assorbimento dei bambini siriani nel contesto sociale turco che, di fatto, si tradurrebbe in una definitiva separazione tra i migranti minorenni e la loro terra natia; dalla Siria, in particolare, è emersa la paura che una buona parte di chi è andato via in tal modo non farebbe più ritorno nel paese nemmeno a guerra finita. L’inserimento degli alunni siriani nelle scuole turche sta impegnando non poche risorse economiche, al pari della formazione: nei vari campi dove vengono accolti i profughi, sono stati aperti i ‘centri di integrazione’, in cui ai rifugiati viene garantito l’insegnamento di alcuni mestieri al fine di permettere loro l’inserimento nel mondo del lavoro.

Altro importante capitolo di spesa riguarda la ricollocazione in Turchia di numerosi immigrati presenti in Grecia ed il rafforzamento del pattugliamento delle coste: in totale, sono sessanta i milioni di Euro destinati a questi due specifici ed importanti obiettivi. Ma i siriani presenti in Turchia non sono soltanto quelli ospiti nei vari centri d’accoglienza; alcuni di loro vivono autonomamente nelle grandi città, soprattutto ad Ankara, Smirne ed Istanbul: per questa categoria di rifugiati, sono stati stanziati circa 650 milioni di Euro molti dei quali di prossima erogazione e tali cifre servono soprattutto per la cosiddetta “Kizilay Card”, ossia una carta dove ogni mese vengono caricate 133 Lire Turche, equivalenti a circa 34 Euro, grazie alle quali è possibile acquistare beni di prima necessità che, dopo un accordo tra commercianti e governo, vengono loro venduti a prezzi più bassi rispetto al mercato.

Ma dalla Turchia si continua a partire

Fin qui dunque il resoconto da parte dell’Ufficio Europeo per i Servizi per i Rifugiati presente in Turchia; i progetti futuri e le somme già spese, hanno messo in evidenza quanto viene attuato da Ankara con i complessivi tre miliardi di Euro promessi da Bruxelles. Pur tuttavia, non mancano perplessità ed ombre: come evidenziato tanto da recenti operazioni della Guardia di Finanza in Sicilia, quanto dai dati diffusi dall’Europol, la rotta turca non è affatto chiusa; i migranti non si dirigono più verso i Balcani, in quanto i paesi dell’ex Jugoslavia hanno solidificato le frontiere e non permettono più a nessuno di raggiungere il nord Europa, pur tuttavia le coste turche continuano ad essere hub di organizzazioni criminali che organizzano viaggi della speranza. Si parte verso la Grecia e l’Italia a bordo di barche a vela, molte delle quali camuffate e somiglianti ad imbarcazioni per turisti: secondo la stessa Europol, ne sono state intercettate almeno 150 soltanto in questo 2017.

Ad organizzare questa rotta sempre più in crescita, non sono solamente sodalizi malavitosi locali bensì anche gruppi formati da ucraini, georgiani, russi, azeri e bielorussi; ad imbarcarsi sono sempre meno siriani, a favore invece di un incremento di cittadini che provengono dall’Afghanistan, dal Bangladesh e dal Pakistan: se da un lato dunque i tre miliardi hanno frenato il flusso di chi scappa dalla guerra in Siria, pur tuttavia Ankara al momento sembra far poco per bloccare coloro che dalla coste turche salpano con barche a vela verso l’Egeo e l’Italia. L’accordo del marzo del 2016, quantunque siglato con riferimento ai rifugiati siriani, ha tra i suoi obiettivi il blocco totale delle partenze dalla Turchia: come detto sopra, per il potenziamento del pattugliamento delle coste sono stati stanziati circa sessanta milioni di Euro che però, allo stato attuale, non sembrano essere stati del tutto risolutori per il definitivo stop della rotta avente il paese anatolico quale principale rampa di lancio.

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