In nottata il Washington Post ha dato la notizia di un attacco hacker perpetrato contro i server della Democratic National Committee, il canale ufficiale del Partito Democratico, principale provider della campagna elettorale di Hillary Clinton. Le informazioni trafugate nell’arco di due settimane riguardano principalmente il dossier elaborato circa la figura del presunto oppositore della Clinton, il magnate Donald Trump.L’intrusione nei computer dei dipendenti della DNC era iniziata circa due settimane fa, ma solo nel weekend i responsabili si sono resi conto dell’attacco, in seguito ad una pulitura dei server operata da parte di CrowdStrike, un’azienda che si occupa proprio di sicurezza informatica.Il presidente di CrowdStrike, Shawn Henry, ha dichiarato agli inviati del quotidiano americano che la violazione del sistema informatico del partito è stata attuata da due gruppi di hacker russi al servizio di alcune agenzie di intelligence del governo di Mosca: si tratta di Fancy Bear, assoldato dal GRU (il servizio segreto militare russo), e di Cozy Bear, del quale non si conosce il mandante, ma si presume che faccia capo all’FSB, i servizi di sicurezza nazionale nati dalle ceneri del KGB.La questione interessante che riguarda tale attacco risiede nella natura delle informazioni trafugate: Robert Deitz, ex consigliere senior di CIA e NSA sostiene che i canali del Partito Democratico sono la migliore fonte di informazioni circa la storia del diretto oppositore di Hillary Clinton nelle prossime elezioni di novembre, per cui l’intento era quello di carpire quante più notizie possibili su uno dei due potenziali aspiranti ad occupare la Stanza Ovale nel prossimo futuro. Sul conto di Donald Trump si sa ben poco, vista la sua embrionale carriera politica iniziata appena pochi mesi fa, ed interesse dei servizi russi potrebbe essere quello di conoscere gli investimenti del tycoon a stelle e strisce, specie quelli realizzati nei Paesi dell’ex URSS come Georgia, Azerbaijan e nella stessa Russia.La smentita da parte del Cremlino è prontamente stata diffusa da RIA Novosti che, attraverso le parole del portavoce del Presidente Putin, Dmitry Peskov, ha negato qualsiasi coinvolgimento del governo russo e delle agenzie di intelligence del Paese, così come poi ripetuto da un portavoce dell’Ambasciata Russa a Washington, il quale ha dichiarato di essere totalmente all’oscuro di tali attività. Anche il consigliere personale di Putin sulla sicurezza informatica, German Klimenko  ha rilanciato alle accuse con delle parole che sottolineano piuttosto l’incompetenza di chi realizza l’impalcatura della sicurezza informatica di tali server, e che piuttosto che ammettere le proprie colpe, è più semplice scaricare il barile sul nemico.I russi, come è noto, non sono estranei a certi tipi di coinvolgimenti, come si è assistito anche con le azioni delle intelligence di molti altri Paesi, USA tra tutti. Eppure a Washington sanno bene che la cyberguerra è uno di quei campi in cui la Russia eccelle, e probabilmente non ha rivali.Già si rimembra dell’attacco hacker perpetrato ai danni della Casa Bianca nel 2014 e ancora prima, nel 2011, la FBI ha denunciato un attacco hacker a carico di una centrale dell’acqua in Illinois, sostenendo che la violazione del sistema fosse avvenuta da un computer situato in Russia. Le superpotenze della guerra cibernetica non hanno mai negato il loro coinvolgimento in tali tipi di operazioni, anzi, la guerra dalla scrivania è iniziata da tempo. Il primo attacco informatico perpetrato da apparati statali fu quello di Stuxnet, malware infiltrato nelle centrali nucleari iraniane per bloccare il processo di arricchimento dell’uranio da parte di USA e Israele nel 2006, con specifica autorizzazione dell’allora Presidente Bush. Tutto ciò dimostra l’importanza e la delicatezza di tali aspetti, di come attraverso dei codici binari – non alla portata di tutti, ovviamente -, si possano creare dei disagi diffusi, anche delle vere e proprie guerre.





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