“Per aver fornito ripetutamente sostegno ad atti di terrorismo internazionale nel garantire un porto sicuro ai terroristi” e per “interferenze negative in Venezuela e nel resto dell’emisfero occidentale”: con queste parole, lunedì scorso, il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha giustificato il colpo di coda dell’amministrazione Trump, che ha designato Cuba come sponsor del terrorismo, nullificando la storica svolta dell’era Obama che aveva scongelato i rapporti con l’isola caraibica.

La motivazione del Dipartimento di Stato

Le ragioni che il Dipartimento di Stato adduce sono molteplici: l’accusa di aver ospitato e fornito cure mediche ad assassini, attentatori e dirottatori; il fatto che membri dell’Esercito di liberazione nazionale si sono recati a L’Avana per condurre colloqui di pace con il governo colombiano nel 2017; l’aver ospitato diversi fuggitivi statunitensi ricercati o condannati per accuse di violenza politica, molti dei quali risiedono a Cuba da decenni. Tra questi, Joanne Chesimard, nell’elenco dei terroristi più ricercati dell’FBI per aver ucciso il poliziotto del New Jersey Werner Foerster nel 1973; Ishmael LaBeet, condannato per l’omicidio di otto persone nelle Isole Vergini americane nel 1972; Charles Lee Hill, accusato di aver ucciso il poliziotto dello stato del New Mexico Robert Rosenbloom nel 1971. A ciò si aggiunge l’accusa all’intelligence cubana di essersi infiltrata nelle forze di sicurezza e militari del Venezuela, a supporto di Nicholas Maduro.

L’effetto immediato dei provvedimenti sottopone l’isola a sanzioni che penalizzano le persone e i paesi impegnati in determinati scambi con Cuba, limita l’assistenza estera degli Stati Uniti, vieta le esportazioni e le vendite della Difesa e impone determinati controlli sulle esportazioni di dual use items, ovvero prodotti con applicazioni sia civili che militari.

Una decisione che viene da lontano

La notizia, di per sé, non sorprenderebbe: Cuba era già stata etichettata come parte di una “Troika della tirannia” con Nicaragua e Venezuela. Ma nelle ore concitate che l’America sta vivendo nel momento della transizione, la vicenda diventa tutto tranne che semplice anche se la Casa Bianca fa sapere che la decisione nulla ha a che vedere con i fatti post-Capitol Hill.

La mossa non è di certo un colpo di teatro e discende da una serie di azioni volte a restringere le aperture a Cuba in tema di viaggi e soprattutto movimenti di denaro. Nell’aprile 2019, ad esempio, erano già stati imposti dei limiti ai flussi di denaro e alle rimesse degli immigrati; a maggio, in tempi non sospetti dunque, l’amministrazione aveva segnalato che avrebbe potuto ripristinare la vecchia designazione di Cuba. Fu allora che i funzionari annunciarono che l’isola era tornata in un elenco separato di nazioni che non collaboravano pienamente con gli sforzi antiterrorismo degli Stati Uniti per il suo rifiuto di estradare i membri dell’Esercito di liberazione nazionale. È, invece, delle ultime settimane la decisione del Dipartimento di Stato di inserire il Banco Financiero International nella Cuba Restricted List, un elenco di enti che gli Stati Uniti sostengono abbiano legami con i servizi militari, di intelligence o di sicurezza cubani. Inutile dire che le autorità cubane hanno preso l’iniziativa come la prosecuzione dell’embargo con altri mezzi.

Le banche cubane erano già nel mirino da tempo: nel luglio scorso gli Stati Uniti avevano sanzionato la Havin Bank, una banca di proprietà cubana con sede a Londra, in un altro tentativo dell’amministrazione Trump di tagliare il flusso di denaro al governo dell’isola. La banca era stata precedentemente inclusa nell’elenco degli enti bloccati ma con il suo nome originale, Havana International Bank. Nel 2015, durante il disgelo dei rapporti promosso dall’amministrazione Obama, il Tesoro aveva poi rimosso dalla sua lista nera diversi funzionari legati alla banca.

Legare le mani a Biden

Alcuni giorni fa era stato Gregory Meeks, il presidente entrante della Commissione per gli Affari Esteri della Camera, a mettere in guardia Pompeo circa questa mossa, identificata come uno strumento per mettere i bastoni fra le ruote della politica estera latina di Joe Biden.

Il prossimo presidente degli Stati Uniti aveva già dichiarato più volte la sua intenzione di voler rilanciare la politica dell’era Obama allentando le restrizioni sui viaggi, gli investimenti e le rimesse per la nazione insulare che si ritiene danneggino in modo sproporzionato sia i cubano-americani che i cittadini di Cuba. Tuttavia, quali siano le direttrici di questo piano di Biden per l’America latina non è ancora dato sapere. È più probabile che un vero piano non ci sia, un errore commesso da Barack Obama come da Donald Trump.

Guardando alle sue nomine, Antony Blinken come Segretario di stato e Jake Sullivan come consigliere alla politica estera, poco ancora può essere profetizzato in termini di foreign policy, soprattutto verso Cuba: certo è che entrambi erano già consiglieri di Biden o di Barack Obama ai tempi del disgelo del 2015. Solo di Sullivan conosciamo un ormai celebre tweet “Sosteniamo il popolo cubano nella sua lotta per la libertà e ci facciamo eco delle richieste al governo cubano di rilasciare i manifestanti pacifici. Al popolo cubano deve essere consentito di esercitare il diritto universale alla libertà di espressione” che potrebbe essere segno di una certa attenzione della prossima amministrazione verso Cuba.

Ma a legare le mani a Biden non ci sarebbe solo questo problematico lascito: a pressare la nuova amministrazione sul mantenimento, invece, delle restrizioni restano le comunità anticastriste statunitensi, in particolare quelle della Florida, che invece hanno dato largo appoggio a Trump e alle sue iniziative.

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