La giornata del 19 aprile è stata una delle date cruciali della storia recente di Cuba, in quanto ha sancito il passaggio di potere da Raul Castro al suo successore designato, Miguel Diaz-Canel, presentatosi come unico candidato alle elezioni del nuovo Presidente della Repubblica da parte del parlamento di L’Avana.

Nato nel 1960, Diaz-Canel ha vissuto esclusivamente nell’era della Cuba castrista, iniziata con l’ingresso dei rivoluzionari a L’Avana nel Capodanno del 1959 e perpetratasi sino ad oggi, dopo aver attraversato, non senza fasi di vera e propria alta marea, l’oceano della grande storia del Novecento e l’intero arco della Guerra Fredda.
Il Paese che Diaz-Canel, amministratore pragmatico formatosi come leader del Partito comunista a Holguín prima di diventare ministro dell’Istruzione e vicepresidente dal 2013, si troverà ad amministrare vive un periodo molto delicato della sua storia: dopo esser succeduto al lider maximo Fidel Castro nel 2008, il fratello Raul ha avviato una stagione di riforme basata sulla volontà di risolvere la pluridecennale contrapposizione con gli Stati Uniti e culminata nella storica visita di Barack Obama nell’Isla bonita.
Nel corso degli ultimi mesi, tuttavia, la nuova politica anti-cubana dell’amministrazione Trump ha portato a un progressivo arroccamento del governo di L’Avana, che pure ha incassato un enorme consenso nella votazione Onu contro l’embargo imposto unilateralmente di Washington, manifestatosi sul piano interno con un rilancio della censura mediatica e dell’emarginazione degli oppositori.
A Cuba una transizione nel segno della continuità
Sotto il profilo politico, Diaz-Canel rappresenta la scelta della continuità sul solco tracciato dal castrismo “riformato” da Raul; la svolta principale è sul piano generazionale, in quanto i 59 anni di leadership dei fratelli Castro hanno di fatto cristallizzato, sino ad oggi, l’alternanza ai vertici del Paese.
Bisogna, in primo luogo, sottolineare come Diaz-Canel fatichi a separare la sua immagine da quella del governo e dell’ideologia castrista. Come scrive Roberto Livi su Il Manifesto: “Díaz-Canel non è un personaggio che ha attratto l’attenzione della popolazione. È un leader della generazione dei cinquantenni, nato e cresciuto nella Rivoluzione, come molti vicini di casa. Il vantaggio di essere ‘giovane’ lo paga con la mancanza di carisma di chi – come l’attuale vertice politico-militare – la Rivoluzione l’ha fatta”.
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La leadership ingessata nel mito della “Rivoluzione” ha portato Cuba a non beneficiare in maniera completa delle riforme timidamente avviate da Raul Castro. Lorenzo Bianchi ha segnalato sull’Huffington Post che ” gran parte dei dipendenti non guadagna più di 30 dollari al mese. Pur essendo triplicati, i lavoratori autonomi sono solo 580 mila su una popolazione di 11 milioni di abitanti. Il Prodotto interno lordo resta di un terzo più basso rispetto a quello del 1985″ e il tracollo dell’alleato venezuelano ha portato Cuba a sperimentare una crisi energetica senza precedenti negli ultimi anni. Diaz-Canel, in questo contesto, ha pochi spazi di manovra, in quanto le potenzialità del Paese difficilmente permetterebbero a qualsiasi riforma di risultare incisiva.
Diaz-Canel e il contesto internazionale
Non bisogna dimenticare, in ogni caso, che il contesto interno a Cuba è anche frutto della situazione internazionale in cui L’Avana è stata costretta a muoversi negli ultimi decenni. L’asfissiante embargo americano continua a pesare come un macigno su Cuba, che solo negli ultimi anni è riuscita a gestire una politica estera autonoma attraverso l’espansione dei contatti con la Russia e con una potenza diplomatica come il Vaticano.
In questo contesto, “restano le conquiste nella medicina, nello sport, nelle scienze, nella cultura, tanto nel cinema come nella musica e le arti plastiche, senza contare i 70mila medici formati, istruiti e inviati, nell’arco di 50 anni, nelle nazioni più povere che assicurano a Cuba il prestigio di cui gode in tutti i paesi, in particolare nel continente latinoamericano”, come dichiarato da Gianni Minà in una recente intervista all’Huffington Post. Risultati indubbiamente positivi che vanno letti in un contesto più ampio, legato a stretto filo con il futuro della dialettica tra Cuba e Stati Uniti.
Solo se i due Paesi riusciranno a riprendere il dialogo avviato dall’amministrazione Obama, infatti, Cuba avrà spazio per una stagione di progresso interno nel corso dell’era Diaz-Canel. Trump ha rilanciato quello che Minà ha definito “l’assedio e l’embargo disonesto”, pregiudizio agli interessi di entrambi gli attori ma devastante per le prospettive di Cuba. L’ostilità con gli Stati Uniti, infatti, non solo limita il raggio di azione di L’Avana ma fornisce, al tempo stesso, il più grande alibi agli oppositori del cambiamento interno al Paese e ai fautori dello status quo influenti negli apparati politico-militari.