Oltre due mesi di silenzio in Estremo Oriente: dopo il test atomico (il sesto) ed il lancio di un missile (un IRBM del tipo “Hwasong-12” ) di metà settembre sembra che in quel di Pyongyang tutto taccia. Fatta esclusione per eventi collaterali come il crollo del sito per i test atomici e la “emorragia” di pescatori in fuga verso il Giappone, la Corea del Nord ha praticamente cessato di essere alla ribalta delle cronache.
Se dal lato nordcoreano sembra sia tutto tranquillo, dal lato “occidentale”, però, non si è persa occasione per tenere alta l’asticella dell’attenzione – o della tensione – continuando ad effettuare esercitazioni militari nell’area.
Proprio questo atteggiamento americano è quello che preoccupa Mosca, che tramite le parole del Vice Ministro degli Esteri Igor Morgulov, fa sapere che “uno scenario dagli esiti apocalittici esiste nella penisola coreana e non possiamo far finta di non vederlo” durante i lavori di apertura dell’ottava conferenza asiatica del Valdai discussion club a Seul tenutasi oggi. Morgulov ha esplicitamente affermato che la tensione nell’area resta alta sia per la volontà della Corea di Nord di perseguire nel proprio programma di armamento atomico e missilistico sia per la continue esercitazioni militari che gli Usa ed i loro alleati intrattengono in quella parte del globo, siano esse già preventivate o meno. Il riferimento qui è alla grossa esercitazione che si è tenuta a metà del mese scorso (dall’11 al 14) nel mar del Giappone che ha visto coinvolte ben 3 portaerei americane – Ronald Reagan, Theodore Roosevelt e Nimitz – per la prima volta dopo almeno una decade. Era dall’esercitazione “Valiant Shield” del 2007 che non si vedeva un’esercitazione condotta con la partecipazione di ben 3 navi di questo tipo nelle acque del Pacifico Occidentale; esercitazione, quella di questo novembre, che, secondo quanto riporta il comunicato ufficiale della Us Navy, era rivolta a “migliorare la capacità di interoperabilità tra tre Carrier Strike Group” ma soprattutto per “rinforzare la sicurezza e stabilità nella regione”. In parole povere una dimostrazione di forza verso la Corea del Nord, ma soprattutto verso i suoi “alleati” – Cina e Russia – che sono ritornati prepotentemente al centro delle decisioni strategiche globali anche grazie ad abili mosse diplomatiche (e non) in campo internazionale.
La Russia infatti non ha perso occasione di propagandare il proprio piano di pace per la penisola coreana che vede da un lato la cessazione della ricerca atomica e per i missili balistici intercontinentali (ICBM) di Pyongyang, dall’altro la drastica riduzione delle esercitazioni militari congiunte tra Washington ed i suoi alleati. Alleati che sembrano ampliarsi, peraltro, considerando i recenti sviluppi “indiani”. Mosca infatti, come afferma il Vice Ministro, sta “continuando a lavorare con la Corea del Nord presentando la nostra posizione” ovvero quella che ritiene “inaccettabile” la possibilità che Pyongyang diventi una potenza atomica. La Russia pertanto sta discutendo con la Corea del Nord una moratoria unilaterale che riguardi i missili ed i test atomici apprezzando molto il “silenzio” di questi due mesi, visto come un segnale di buona volontà da parte di Kim Jong-un. Parallelamente, come già detto, viene condannato l’atteggiamento Usa che potrebbe quindi portare a nuovi test sia atomici sia missilistici da parte di Pyonyang.
Anche la dialettica del “fuoco e fiamme” usata da Trump recentemente viene fortemente condannata dicendo che “spingere la Corea del Nord con le spalle al muro non risolverà la questione ma porterà ad una catastrofe umanitaria” in quanto “non potrà altro che costringere Pyongyang a perseguire le proprie intenzioni di riarmo”. Non resta che una alternativa, sostiene Morgulov, che è quella del dialogo.
Un dialogo, però, che si farà molto difficile stante le nuove sanzioni, la cui natura è ancora un mistero, che presto si abbatteranno sulla Corea del Nord: per il momento il Segretario di Stato Tillerson si è limitato, martedì scorso, ad affermare che saranno “del più alto livello possibile” e permetteranno “di dissuadere ed impedire a terze parti di intrattenere certe attività con la Corea del Nord”.
Se davvero le sanzioni saranno così limitanti lo scopriremo presto, e altrettanto presto vedremo la reazione di Pyongyang. Nella sua storia e soprattutto nel recente passato il regime ha infatti risposto con lanci missilistici o test alle decisioni dell’Onu in questo senso, e un eventuale lancio missilistico con una traiettoria diversa dal solito – sin’ora tutti i missili erano diretti verso zone inequivocabilmente lontane da possibili obiettivi in modo da non risultare effettivamente minacciosi – potrebbe causare una reazione a catena dalle conseguenze inimmaginabili.
Staremo a vedere quindi nei prossimi giorni come si comporterà Kim Jong-un essendo comunque ben coscienti che il piano russo-cinese di pacificazione dell’area non sarà mai accettato dagli Stati Uniti e dai loro alleati: il piano infatti non elimina la minaccia missilistica in toto – sono coinvolti solo gli ICBM e non gli IRBM e MRBM coi quali si potrebbero colpire bersagli lontani sino a Guam – e soprattutto risulterebbe uno smacco inaccettabile per Washington che si sta giocando la supremazia in Estremo Oriente con la Cina e, anche se in modo limitato, con la Russia.