L’esplosione che ha trafitto Beirut non ha ancora una causa certa, né un responsabile o tantomeno un eventuale mandante. E tutto lascia credere che l’inferno che ha squarciato la capitale del Libano resterà per molto tempo coperto da un fitto alone di mistero.
Il caos incendia il Paese
Nessuno per ora ha indicato un colpevole. E questo è già una novità nel difficilissimo ginepraio libanese, dove le fazioni lottano tra loro e dove il settarismo è prima di tutto uno strumento di controllo di potenze esterne. Ma la situazione resta estremamente complessa e il caos sembra destinato a governare il Paese ancora per molto, come del resto l’intera regione. Come spiega Matteo Bressan, docente di Relazioni internazionali alla Lumsa e analista presso il Nato College Foundation, “l’unico dato certo è che il porto di Beirut è fuori uso e questo è un ulteriore danno per l’economia di un Paese già ridotto allo stremo”.
Ma non solo, “la tragedia che ha trafitto la capitale libanese – rispetto alla quale non si può escludere l’ipotesi di un incidente o legata all’incuria nello stoccaggio del nitrato d’ammonio – si è materializzata nel contesto di una crisi di vastissime proporzioni, assenza di prospettive politiche (la stessa che aveva portato migliaia di persone a scendere in piazza negli scorsi mesi), e in un insieme di tensioni regionali che possono esplodere ovunque, dall’Iraq alla Siria fino, appunto, al Libano. Una situazione complessa in cui l’esplosione colpisce, forse definitivamente, anche l’attuale classe dirigente che una parte consistente del Paese ha già dimostrato di rifiutare”. E le proteste sono continuate fino a pochi giorni prima della tragica esplosione.
Il fuoco interno ed esterno
Per ora le certezze sono molto poche. Le indagini, come ormai noto, si concentrano sul sito di stoccaggio di nitrato d’ammonio. Ma la presenza di questa sostanza, presumibilmente in enormi quantità vista la grandezza dell’esplosione, è solo una parte dei nodi da sciogliere di una deflagrazione che rischia di avere ripercussioni profonde in un panorama internazionale già molto complesso.
Non è un mistero che il Libano sia da sempre il termometro dei cambiamenti che sconvolgono il Medio Oriente. Il settarismo che caratterizza il Paese è stato il terreno perfetto per far si che ogni contesa regionale trasformasse Beirut in un laboratorio di guerra regionale. Lo è stato per lo scontro tra Stati Uniti e Urss, lo è tra Israele e Iran, e lo è in parte anche nella grande sfida mondiale tra le tre superpotenze che decidono i destini della regione: Usa, Cina e Russia.
Investimenti, aerei spia e visite
Nelle scorse settimane, Associated Press aveva portato all’attenzione della stampa internazionale l’interessamento della Cina nei confronti del Libano. La crisi economica che sta devastando il Paese, unita all’interesse di Pechino nel crearsi una porta sul Mediterraneo visto il freno subito in Israele, potrebbe creare l’humus perfetto per una penetrazione cinese anche nel piccolo ecosistema libanese. Un ingresso di non poco conto, che si innesta in un clima già compromesso e in una fase di piena delegittimazione della classe dirigente legata o al mondo arabo e americano o a quello iraniano.
Proprio il porto di Beirut, vero e unico hub dell’import-export del Paese, sarebbe stato il fulcro di questo inserimento della Cina: ma è chiaro che ora gli investimenti potrebbero – se confermati – essere dirottati nella ricostruzione più che nello sfruttamento. E non sarebbero certo visti con molto entusiasmo da parte degli Stati Uniti, preoccupati dalla presenza cinese nel Mediterraneo, ma anche dai russi, che da sempre giocano un ruolo di primo piano nel delicato equilibrio libanese, confermato sia dai rapporti costruiti negli anni con Hezbollah, sia per gli interessi nel settore del gas, sia in ottica militare e strategica avendo la base di Latakia a pochi chilometri dalla linea di confine.
L’occhio americano si è posato da tempo sul Libano in cerca di certezze. Occhio politico, innanzitutto, con Mike Pompeo che già nella sua prima visita nel Paese aveva chiesto al popolo di sollevarsi contro Hezbollah e avvertito, a stretto giro di posta, che la presenza di fabbriche di armi, missili e siti di stoccaggio del Partito di Dio sarebbe stata motivo di raid da parte di Israele.
Una pressione continua, che si unisce all’assedio nei confronti dell’Iran (sanzioni confermate in queste ore), e a cui si aggiungono gli occhi, fisici e indiscreti, che da qualche tempo hanno iniziato a vegliare più da vicino sul Mediterraneo orientale e sulle coste siriane e libanesi. Circa 24 ore prima dell’esplosione che ha devastato Beirut, i siti di tracciamento dei voli militari hanno più volte segnalato un inusuale traffico di aerei americani che facevano avanti e indietro nel tratto di mare davanti alle cose della Siria e poco a nord del Libano. Un Lockheed EP-3 e tre P-8 Poseidon partiti dalle basi di Sigonella e di Souda (a Creta) hanno perlustrato per ore il tratto di mare in questione per poi tornare alla base.
Nel frattempo arriva un altro segnale da non sottovalutare: Emmanuel Macron, con un gesto inaspettato, ha annunciato la sua visita a Beirut con la volontà – spiegano le fonti dell’Eliseo – di incontrare “tutti gli attori politici”. Non è un mistero l’interesse che da sempre la Francia nutre nei confronti del Libano, ma è altrettanto importante sottolineare la mossa repentina di Macron, che in questo modo si accredita come interlocutore privilegiato europeo in Libano nel momento peggiore della crisi. Parigi sa che è un’opportunità da cogliere e si è mossa molto rapidamente.
I legami con l’Iran e il riavvicinamento con la Russia possono essere una base importante per Macron per strappare consensi e posizioni di forza in Libano. E da parte Usa potrebbe esserci il semaforo verde per un intervento più massiccio della diplomazia francese. E l’Italia deve stare attenta, visto che il comando italiano di Unifil è oggi un elemento fondamentale che ci pone in un punto di forza rispetto agli altri attori europei.
Il nodo Hezbollah e le mosse di Israele
Tutto questo ricade poi nella guerra non dichiarata (ma combattuta) che coinvolge Israele e Iran. E in cui il Libano, soprattutto tramite la presenza di Hezbollah, diventa inevitabilmente uno dei principali terreni di scontro.
Il governo israeliano ha per ora concesso piena disponibilità per aiutare il Libano. Ma se da parte di Beirut tutto tace, confermando l’enorme freddezza nei rapporti, non va sottovalutato il fatto che i media dello Stato ebraico inizino a parlare del pericolo della presenza dei siti di stoccaggio di nitrato d’ammonio o di munizioni di Hezbollah nelle aree residenziali del Libano. Il Jerusalem Post e Haaretz, tra i maggiori quotidiani israeliani con una versione in inglese, hanno acceso nuovamente i riflettori su questa strategia del movimento di Hassan Nasrallah, ricordando anche di come il leader sciita aveva minacciato di colpire Israele proprio attraverso “bombe di ammoniaca”. Ed è chiaro che la conferma della presenza di migliaia di tonnellate di nitrato d’ammonio nel porto di Beirut potrebbe essere il volano di Israele per condurre una più massiccia campagna di intelligence e mediatica contro Hezbollah in Libano.