Otto banche andate in sofferenza in tre anni, il caso Carige a definitivo suggello di uno stato di prostrazione del sistema creditizio italiano che dura dallo scoppio della Grande Recessione e di un periodo di contrazione straordinaria in cui l’Italia ha lasciato sul terreno un decimo del Pil e un quarto della propria produzione industriale. Stiamo vivendo una fase storica durissima, è chiaro, ma sul tema delle banche è doveroso chiedersi se, soprattutto a livello comunitario, qualcosa poteva andare diversamente per impedire che i disastri degli ultimi tempi accadessero. Ovvero se una politica di vigilanza diversa da quella macchinosa e dispendiosa messa in atto dalla Bce, nel corso della problematica gestione della francese Daniele Nouy, potesse produrre esiti differenti per il sistema bancario italiano.
La risposta è, senza ombra di dubbio, affermativa. E tutto ruota attorno a un’espressione tecnica divenuta oramai di uso corrente anche nell’informazione non specificatamente economica: non performing loans, crediti deteriorati.
Cosa sono i crediti deteriorati che la vigilanza della Bce tiene d’occhio
Per crediti deteriorati si intendono, per usare la calzante definizione di Money.it, “forme di credito detenute dalle banche la cui esigibilità è messa in discussione principalmente per cause ricollegate a difficoltà della parte debitrice. Ognuna di esse è classificata in base ad ammontare del credito, difficoltà dell’esigibilità e tempistiche delle scadenze”.
Il problema, per le banche italiane, è sorto quando la nuova vigilanza bancaria di Francoforte ha iniziato a tenere severamente d’occhio la notevole esposizione degli istituti italiani alla problematica dei crediti deteriorati, ritenendola la più probabile “miccia” che avrebbe potuto causare una crisi bancaria generalizzata. Da qui le bocciature a catena di istituti come Mps, Banca dell’Etruria e Carige agli stress test della Bce e l’imposizione di dure condizioni di riassetto che hanno avuto, per suicida autoimposizione del duo Renzi-Padoan, il loro punto culminante nel bail in imposto a numerosi risparmiatori.
La ricetta della Bce sui crediti deteriorati? Vendere, vendere, vendere
Come gestire i crediti deteriorati detenuti dagli istituti? Facile, per la vigilanza di Francoforte: vendendoli in massa e, nel contempo, procedere a dure ricapitalizzazioni. “Tra il 2017 e il 2018 ben 164 miliardi di crediti deteriorati sono stati ceduti a un ristretto gruppo di operatori, soprattutto internazionali”, riporta La Verità.
“In pochi mesi, centinaia di migliaia di famiglie e imprese italiane si sono ritrovate a essere debitrici non più della loro banca ma di altri soggetti che hanno l’ unico obiettivo di recuperare nella massima misura possibile, e soprattutto maledettamente in fretta, il credito che hanno acquistato. […] Questo trasferimento di risorse, oltre a mettere in ginocchio i bilanci di tante banche italiane, costringendole a ingenti ricapitalizzazioni e portando al dissesto quelle più esposte, ha inciso nella carne viva di famiglie e imprese, trovatesi improvvisamente esposte all’azione di un creditore meno paziente della banca e con sfidanti obiettivi di redditività, infatti i tassi interni di rendimento di questi investimenti oscillano fra 10 e 12%”.
Qui sorge una questione dirimente. Si può considerare simmetrico un mercato in cui il venditore ha l’imposizione esplicita di vendere, indipendentemente dal valore di realizzo, una quantità di titoli notevole, gli istituti acquirenti sono scarsi di numero e il tempo a disposizione contingentato? Assolutamente no. “Il risultato non può che essere un’ epocale distruzione di valore a danno del sistema produttivo italiano”, mentre nel contempo i crediti venduti venivano riscossi con un tasso del 44% contro il 26% degli istituti cedenti.
Il nuovo affondo della Bce mette in ginocchio Mps
La Spoon River bancaria italiana parla chiaro: istituti cancellati e ceduti a Ubi, Mps messa al tappeto come mai in passato nella sua storia secolare, Carige ferita gravemente come il territorio ligure di cui è espressione. E di recente la banca senese, controllata dallo Stato italiano, ha subito sulla propria pelle una nuova, inaspettata mossa della Bce sui crediti deteriorati.
Mps ha infatti perso in borsa il 10% nella giornata del 14 gennaio dopo la pubblicazione di un memorandum in cui si presuppone come linea strategica d’indirizzo il proseguimento della vendita di crediti deteriorati sul mercato. La vigilanza ha agito con tempestività poco dopo l’entrata in scena del nuovo direttore del meccanismo di controllo, il 57enne spezzino Andrea Enria, scelto personalmente da Mario Draghi, che ha debuttato a gennaio al posto della Nouy con un uno-due di notevole portata contro istituti italiani, dapprima attraverso il commissariamento di Carige e, subito dopo, con l’azione a sorpresa su Mps.
E i derivati?
In questo contesto, latita un serio ragionamento sul vero, potenziale detonatore di una crisi finanziaria di ampia portata nell’Unione europea, mai affrontato da una vigilanza eccessivamente focalizzata sui crediti deteriorati delle banche italiane: i derivati che ingolfano i bilanci di istituti come Deutsche Bank (48 trilioni di euro per il colosso di Francoforte) e i 7 trilioni di titoli tossici che, come riportato dalla Banca d’Italia in uno studio, vagano minacciosamente per l’Eurozona, per l’80% nei portafogli dei colossi franco-tedeschi.
Enria, a onore del vero, ha anche avviato un’indagine della vigilanza su Deutsche Bank, rivolta tuttavia a accertare le dinamiche della ventilata fusione con Commerzbank e non a sanare il problema dei derivati. Finché si continuerà a insistere sui crediti deteriorati come unico driver di instabilità bancaria, la vigilanza Bce rimarrà incompleta e continuerà a indicare in una sola direzione, quella che punta al nostro Paese.
In questo contesto, va salutato positivamente l’emendamento inserito in legge di bilancio dal senatore leghista Alberto Bagnai per limitare la pervasività della vigilanza Bce nei bilanci delle banche popolari italiane che, secondo quanto riporta StartMag, eviterebbe minusvalenze da 2,5 miliardi di euro nei bilanci degli istituti nazionali. Un punto di partenza importante, ma che dovrà essere seguito da azioni attive di tutela del risparmio gestito e del credito. Se la vigilanza comunitaria è sorda sui veri problemi delle banche comunitarie, risulta perlomeno necessario tutelare il fronte interno.