Un colpo al cerchio e uno alla botte: permessi di soggiorno più lunghi per i profughi e rimpatri più veloci per i migranti economici. Così il presidente francese Emmanuel Macron apre le braccia ai rifugiati, ma chiude le porte a tutti gli altri. Anche per cercare di arginare l’estrema destra che, sull’onda della crisi migratoria, non ha mai smesso di guadagnare consensi.
“Non possiamo accogliere tutti”, aveva detto chiaramente il capo dell’Eliseo nel suo discorso di fine anno. Così Macron ha deciso di spostare le frontiere francesi 4mila chilometri più a sud, nelle strade polverose di Niamey. È in Niger, crocevia dei migranti che dall’Africa Occidentale tentano di raggiungere la Libia per imbarcarsi sulle carrette del mare verso le coste italiane, che la Francia, da qualche mese, ha iniziato ad esaminare le domande di asilo di migliaia di cittadini africani. Ed è questa, come la definisce il New York Times, “l’altra faccia” del piano di Macron sull’immigrazione, presentato mercoledì scorso al Parlamento francese: valutare le richieste dei migranti direttamente in Africa, per evitare che chi non ha i requisiti per essere accolto si consegni ai trafficanti di uomini per intraprendere un viaggio dall’esito incerto lungo le rotte della morte.
“Siamo qui per evitare che le persone muoiano nel Mediterraneo”, ha detto al quotidiano statunitense Sylvie Bergier-Dyallo, vice capo della missione francese in Niger. I funzionari dell’OFPRA, l’Agenzia francese per i rifugiati, per ora sono soltanto quattro e ascoltano una media di 85 testimonianze a settimana. Un numero risibile rispetto alle decine di migliaia di richieste di asilo: 100mila, per avere un’idea, quelle analizzate dalla Francia solo nello scorso anno. Ma se l’efficacia della missione in termini numerici sembra essere pressoché nulla, è il messaggio politico ad essere ben più rilevante. Secondo il New York Times, che ha visitato uno dei centri della missione dell’OFPRA a Niamey, la speranza di Parigi è che tra i migranti si diffonda la voce che per chi ha le carte in regola esiste la possibilità di raggiungere l’Europa in modo sicuro, mentre per tutti gli altri non c’è alcuna chance di vedere le proprie domande accolte una volta giunti in Francia.
A chi ottiene lo status di rifugiato, infatti, Parigi dà diritto ad un biglietto aereo, e, una volta toccato il suolo francese, ad un alloggio, ad un permesso di soggiorno e ad un corso di lingua. Ma finora le domande che hanno avuto esito positivo si contano sulle dita. I colloqui sono molto rigidi e possono durare diverse ore. I funzionari francesi scavano nel passato dei candidati e delle loro famiglie. Le ragazze con il velo, vengono informate sul fatto che in Francia non è possibile indossarlo nelle scuole e negli uffici. I migranti vengono selezionati dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) nei centri libici, e vengono trasportati a Niamey per essere auditi dai funzionari dell’OFPRA.
“Politicamente è una cosa enorme, ma in termini numerici è ancora irrilevante”, commenta Giuseppe Loprete, a capo della delegazione dell’UNHCR in Niger, sentito dal New York Times. Ma l’iniziativa transalpina ha sollevato diverse polemiche. La missione francese è positiva ma è “limitata” e “arriva troppo tardi”, secondo Philippe Dam, di Human Rights Watch. Critico anche il sacerdote italiano Mauro Armanino, che definisce quella di Macron una “politica senza cuore”. “Come si fa a distinguere tra migranti e rifugiati? Qual è il principio etico alla base di questa scelta?”, si chiede dalla cattedrale di Niamey.
Quelli che verranno scartati, probabilmente, resteranno nel Paese africano dove oltre un milione e 400mila persone hanno bisogno di assistenza alimentare e dove il centro di transito di Agadez ha raggiunto ormai la sua capienza limite, suscitando le proteste delle autorità locali. Ma ormai è qui, nell’avamposto francese nel Sahel, che Macron vuole fermare i migranti prima che decidano di partire alla volta dell’Europa.