Il 15 maggio 2023, il premier Rishi Sunak dominava la scena mediatica inglese con il caloroso abbraccio a Volodymyr Zelensky sceso dal suo volo militare per un blitz nel Regno Unito.
Contestualmente, mentre il primo ministro si prodigava nel rinnovare l’impegno del Paese verso l’amico ucraino, una parte degli alleati Conservatori armava contro il suo leader un fuoco di fila serrato.
Nemo propheta in patria quando ci sono elezioni in vista, presumibilmente si terranno a gennaio 2025 e sui litorali britannici già si prepara aria di tempesta.
Sunak, considerato più che altro un tecnocrate un po’ troppo spostato al centro, guida un cerchio magico all’interno di Downing Street che gli sta garantendo la sopravvivenza insieme ad una certa maggioranza in parlamento, ma nel suo stesso Gabinetto e fuori dai palazzi tira una brutta aria e le elezioni locali del 4 Maggio lo hanno ampiamente dimostrato.
Gli elettori dalla vecchia e nuova base, quella scippata ai Laburisti nel 2019 grazie a Boris Johnson, borbottano e lamentano una grande delusione.
Le guerre fratricide a Westminster
Sei mesi di filato alla guida del governo inglese, con l’aria che tira a Westminster negli ultimi tempi, sembrano un record, ma in realtà stanno portando alla luce tutto il malcontento accumulato finora.
Chiaramente Sunak raccoglie l’eredità di 13 anni ininterrotti di potere che consumerebbero qualunque partito e oggi fa i conti con quel che rimane di un gruppo in disarmo, già pronto alla futura sconfitta e che, in assenza di un obiettivo comune e condiviso, va alle prove muscolari per ottenere almeno il potere interno.
Il sistema elettorale inglese ha sempre garantito la sopravvivenza del bipolarismo, anche con qualche stampella all’occorrenza offerta da alleanze a tempo, come accaduto nel 2010 e nel 2015, ma questo non significa che i due principali schieramenti non debbano fare i conti con correnti pronte a darsele di santa ragione appena possibile. Ecco perchè i nemici di Sunak oggi stanno venendo allo scoperto.
Chi sono i nemici di Sunak?
Boris Johnson è sempre stato il primo della lista e non ne ha mai fatto mistero. Dopo il tradimento del suo ex Cancelliere dello Scacchiere che un anno fa ne ha determinato la caduta, il BoJo nazionale arma costantemente le truppe dei suoi fedeli per attaccarlo.
L’ultimo atto è andato in scena in una, a dire il vero poco popolata, conferenza che si è tenuta nel fine settimana a Bournemouth.
La Conservative Democratic Conference ha visto alternarsi sul palco i fedelissimi dell’ex Primo Ministro, in fila a ricordare che Johnson è l’unico che può ancora vincere le elezioni e soprattutto l’unico in grado di dare agli inglesi la più grande promessa mancata: la Brexit.
Ovviamente il dato di realtà fa ammettere a molti che un ritorno del biondo scarmigliato è ormai impossibile: troppe inchieste, troppi scandali, troppo bisogno di stabilità.
Oggi una personalità carismatica non basta da sola a risollevare il Paese, perché servono vere politiche di crescita.
Dopo BoJo arriva Suella Braverman
I Conservative Democratic non sono l’unica corrente con cui deve vedersela Sunak, perché per tre giorni, Londra ha ospitato un’altra conferenza, quella organizzata dal Think Tank di Washington, Edmund Burke Foundation, che ha organizzato il forum del National Conservatism.
In Europa, Victor Orban e Giorgia Meloni calcarono quel palco in passato, ma secondo molti osservatori britannici questo stile “Tea Parties” americani userebbe un linguaggio non del tutto affine alla tradizione dei Conservatori inglesi.
Parole come “marxismo”, “pericolo comunista”, centralità assoluta della famiglia con le donne che “devono avere come priorità fare figli” (secondo quanto affermato dall’israeliano Yoram Hazony), non apparterrebbero alla storia dei Tories di Westminster.
Ma tant’è, su quel palco si sono alternati anche volti noti e attivi nel governo del Primo Ministro, a cominciare dalla discussa Suella Braverman, il ministro dell’Interno responsabile delle politiche migratorie che vuole mandare chi sbarca clandestinamente in UK, in Ruanda e per far fronte alla dipendenza del Regno Unito dalla manodopera straniera, vuole insegnare agli inglesi a raccogliere la frutta, guidare i camion, fare i manovali e i carpentieri.
Purtroppo però, il settore più in difficoltà non è stagionale ed è quello sanitario dove la carenza di infermieri, medici e badanti sta mettendo in ginocchio proprio il Paese che all’inizio del ‘900 ha introdotto il Welfare state.
Un discorso più politico che legato alle politiche del suo dicastero e del governo ha trasformato la Braverman nella prima candidata in pectore per la leadership del partito.
Ovvero, il nemico interno numero due per Sunak.
Il Garden Party di Sunak in cerca di armistizio
Per cercare di calmare le acque, dopo l’incontro con Zelensky e la riaffermazione del suo ruolo a livello internazionale, il Primo ministro ha invitato i suoi parlamentari ad un party nel giardino di Downing Street offrendo Yorkshire pudding, ricetta tipica della sua circoscrizione, patate novelle e tanta buona volontà per spegnere l’incendio divampato pubblicamente contro di lui, le sue politiche e le promesse mancate.
I più ferventi critici dell’ala vicina a Boris Johnson non si sono presentati, ma secondo l’analisi che ci ha fornito il prof Iain Begg della LSE, i nemici interni di Sunak sarebbero molto meno pericolosi ed assetati di sangue di quelli che a suo tempo dovette affrontare Theresa May.
“L’allora ERG era molto più agguerrito e potente”, oggi in realtà si tratterebbe solo di “una volontà di riaffermazione dell’ala più a destra del partito” insoddisfatta per la mancata riduzione delle tasse e soprattutto per il fallimento della Brexit.
Che fine ha fatto l’opposizione?
Ai più attenti non sarà sfuggito che nel novero dei nemici del primo ministro inglese manca clamorosamente il capo dell’opposizione.
In effetti Sir Keir Starmer guarda, si espone raramente e non sfonda. L’ultimo sondaggio sul suo gradimento di Redfield & Wilton Strategies (14 Maggio) gli attribuisce un 33%, in calo di 5 punti.
Dopo aver epurato l’ala sinistra del suo partito con la definitiva cacciata di Jeremy Corbyn e dei suoi, recentemente ha rilanciato un tema molto caro anche alla sinistra italiana, proponendo il diritto di voto ai 16enni e soprattutto agli stranieri che vivono stabilmente nel Paese.
Guarda caso, coloro che, secondo le stime dei Labour, sarebbero molto più inclini a votarli ed in barba alla Brexit. Una mossa, questa, che non cade a caso, soprattutto quando il crollo dei Conservatori non sta gonfiando le vele dei Laburisti che faticano a vedere una vittoria in carrozza alle prossime elezioni.
La possibilità di una maggioranza risicata e di un hung Parliament è sul piatto ora più che mai e ago della bilancia, ancora una volta, rischiano di essere i Lib Dem che invece, secondo i risultati delle ultime elezioni locali godono di consenso e di ottima salute.
Il punto è che l’emorragia di voti dei Conservatori non si è automaticamente trasferita dall’altra parte, così come avvenne quando BoJo conquistò le Red Walls, roccaforti rosse.
L’analisi dei sondaggisti di Yougov avrebbe dimostrato che gli elettori abbandonano i Tories perché non hanno mantenuto le promesse e sono delusi, ma non fanno il salto della barricata.
A questa rabbia provano a rivolgersi i ribelli nel partito, ma su questo sentimento non riesce a far leva la seduzione mal esercitata da Starmer, il noioso.
Il suo disegno politico non è considerato sufficientemente chiaro, anche se, secondo il prof Begg si tratterebbe di una strategia per non subire attacchi o addirittura farsi rubare le idee dagli avversari.
Prima del prossimo marzo, tanto per dirne una, finché non verrà presentato il bilancio, poco si saprà della proposte economiche di Starmer.
Quel che invece è chiaro è che il laburista ha bisogno di una nuova maggioranza fuori da Londra, nelle aree che gli hanno voltato le spalle e ha bisogno di trasformare i suoi messaggi in qualcosa di più di una mera rassicurazione.
Starmer deve ridare agli inglesi qualcosa per cui poter sognare, non basta dire “se loro non vi vanno bene, allora provate me”.
Che ne sarà della Brexit?
Ciò su cui gli analisti come Begg sono disposti a scommettere è che in vista del voto non si riaprirà una discussione sulla Brexit, sebbene il Financial Times in Febbraio abbia rilevato che il 60% degli inglesi pensa che sia stato un errore e che oggi voterebbe per tornare in Europa.
La verità è che i temi contingenti come il carovita, l’inflazione, lo sfaldamento del sistema sanitario che sta negando il diritto alla salute universale sono problemi molto più sentiti ed impellenti della questione delle relazioni con l’Europa.
Il tema politico, in realtà, si sta affrontando nelle stanze dei palazzi dove vengono regolarmente disattese le promesse più radicali e dove si cerca di ricucire con l’Europa il rapporto negato dalla Brexit che secondo il suo più fervente propugnatore, Nigel Farage, è fallita.
Basti pensare che delle 4000 leggi Ue che sarebbero dovute saltare dai regolamenti britannici, la scorsa settimana ne sono state stralciate solo 600. Ma alle persone che fanno i conti con una crescente povertà e la desertificazione di Londra, sempre più inaccessibile e costosa, poco importa dei tecnicismi burocratici.
La vera battaglia elettorale si combatterà su altri fronti ed il realismo, sommato alle necessità matematiche di far quadrare i conti, per i bilanci e per la vittoria, saranno probabilmente più convincenti di molte ideologie.