Nella giornata di giovedì 3 giugno Mario Draghi ha ricevuto a Palazzo Chigi il presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Il premier e l’onorevole romana hanno avuto un lungo confronto definito dalla Meloni “proficuo” e che, nelle sue intenzioni, spera possa diventare una metodologia di confronto continua, alla anglosassone, tra governo e opposizione in grado di promuovere soluzioni pragmatiche nell’interesse del Paese.

Quella di Fdi al governo Draghi è stata definita fin dalle prime battute dalla Meloni come un’opposizione costruttiva, pragmatica e responsabile. Nella consapevolezza che un cambio di passo da parte del nuovo esecutivo avrebbe portato con sé la realizzazione, in forma indiretta, di molti obiettivi per cui Fdi si è battuto durante gli ultimi mesi del governo Conte II. Come l’allontanamento di figure ritenute inadeguate ai ruoli come il commissario Domenico Arcuri, l’accelerazione della campagna vaccinale, il completamento del Recovery Plan in forma confacente agli interessi nazionali del Paese, la diminuzione del peso del centro-sinistra e del Movimento Cinque Stelle nelle scelte decisive per il Paese, l’accelerazione nelle riaperture post Covid.

Obiettivi dell’agenda di Giorgia Meloni che, in un modo o nell’altro, il governo Draghi ha completato o mira a realizzare. E che dall’opposizione Fdi in larga parte ha condiviso. La scelta di Fdi di porsi come unica formazione di opposizione a un governo di unità nazionale avente l’obiettivo di avviare una profonda discontinuità nella governance del Paese e intento a riscrivere i rapporti di forza tra poteri e apparati in Italia è stata una scommessa che avrebbe potuto avere successo solo se la formazione guida della destra sociale italiana avesse affrontato l’impegno con un obiettivo chiaro. Nel caso del primo trimestre di Draghi si può dire che Fdi abbia saputo cogliere la palla al balzo: l’opposizione a Draghi è stata utilizzata come punto di partenza per sviluppare una cultura di governo dei processi decisionali.

In primo luogo, perché per la prima volta nell’ultimo decennio passato all’opposizione di una serie di esecutivi (da Monti al Conte II) Giorgia Meloni e Fdi sono i punti di riferimento alternativi all’esecutivo. E questo garantisce già di per sé una responsabilizzazione e un’esposizione politica e mediatica tutt’altro che indifferente. Potenziale volano in termini di consensi se ben capitalizzata.

In secondo luogo, mantenersi all’opposizione può pagare per Fdi in quanto formazione depositaria della maggiore divergenza tra l’effettiva forza in Parlamento e i consensi potenziali, in continua crescita, acquisibili col ritorno alle urne. Insomma, alla Meloni e ai suoi conviene maggiormente mantenersi le mani libere dalle divergenze interne a una maggioranza eterogenea e in cui spicca la centralità di Draghi piuttosto che partecipare operativamente all’esecutivo. Il controllo di uno o due ministeri oggi non varrebbe certamente la prospettiva di studiare, dall’opposizione, da futura forza di governo.

Terzo punto, la linea del pragmatismo rafforza, in prospettiva, la coalizione di centro-destra alla cui leadership Fdi si candida in vista del voto del 2023. Lega e Forza Italia sanno che in Fdi possono avere sempre un interlocutore per promuovere parte della loro agenda di fronte a Draghi, che legittimando la Meloni con il ricevimento a Palazzo Chigi ha dimostrato di capire la delicatezza del momento e di coinvolgere anche l’opposizione, fondamentale per il corretto funzionamento del gioco democratico di un Paese, nello sforzo di ricostruzione nazionale. Il fatto che la Meloni abbia presentato a Draghi la richiesta di battersi in Europa per sospensione del nuovo regolamento bancario sullo scoperto, per evitare di avere milioni di persone segnalate alla centrale rischi e un’ondata di nuovi crediti deteriorati, dimostra quando questa comune visione pragmatica possa trovare punti di confronto anche su questioni esterne alle dinamiche politiche nazionali.

Quarto tema, Fdi punta a consolidarsi nelle istituzioni e a farsi trovare pronto per gli appuntamenti dei prossimi anni. La partita del Copasir, in tal senso, ha valenza politica e strategica ampia, dato che il controllo di una commissione tanto importante garantirebbe al partito voce in capitolo su dossier chiave per l’interesse nazionale. E non è da escludere che la formazione della Meloni possa essere uno degli aghi della bilancia nella corsa alla presidenza della Repubblica e alla successione a Sergio Mattarella qualora, come plausibile, l’eterogenea maggioranza faticasse a trovare un nome comune.

I prossimi mesi fino all’elezione per il Quirinale saranno un passaggio chiave; dopo si aprirà la parte più importante della partita, quella dell’avvicinamento al voto del 2023 in vista del quale Fdi deve consolidarsi e ramificarsi nei territori e trasmettere l’impostazione operativa acquisita finora alle sezioni locali. Da forza di opposizione pragmatica, il partito della Meloni può concedersi il lusso di sperare nella buona riuscita del progetto politico del premier operando il ruolo di coscienza critica dell’esecutivo dall’esterno e concedendosi la possibilità di presentare una serie articolata di proposte a Palazzo Chigi con una libertà maggiore di numerose forze che sostengono Draghi, ben più che primum inter pares nella sua compagine di governo. L’opposizione non è dunque necessariamente una traversata del deserto, ma l’anticamera di uno sbarco al governo che Fdi spera possa concretizzarsi già in chiave 2023.





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