Egemonia liberale, addio: bentornato realismo. John J. Mearsheimer, uno dei più importanti e influenti studiosi di relazioni internazionali al mondo e distinto professore di Scienze Politiche presso l’Università di Chicago, è uno dei più celebri esponenti della scuola del realismo politico contemporaneo, che ha radici e tradizione in Machiavelli, Hobbes, fino a capisaldi del Novecento come Edward Hallett Carr, Hans Morgenthau, Kenneth N. Waltz. Autore del celebre saggio The Tragedy of Great Power Politics del 2001 (La tragedia delle grandi potenze, Luiss, 2019), ormai un classico della saggistica sulle relazioni internazionali, lo scorso anno Mearhseimer ha pubblicato un nuovo capolavoro intitolato The Great Delusion. Liberal Dreams and International Realities (Yale Press University) la cui pubblicazione ha generato un grande dibattito negli Stati Uniti, tant’è il Financial Times lo ha inserito tra le più importanti opere del 2018.
Il saggio è stato da poco tradotto e pubblicato in Italia dalla Luiss con il titolo La grande illusione. Perché la democrazia liberale non può cambiare il mondo nel quale il celebre politologo spiega come, alla fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti si siano affacciati sul mondo con la possibilità di esercitare un potere e un’influenza senza precedenti. Con la sconfitta dell’Unione Sovietica e la fine dell’era bipolare, infatti, i politici americani hanno cominciato a sognare di modellare il globo a immagine e somiglianza dell’unica superpotenza rimasta. Come ha ricordato successivamente il consigliere per la sicurezza nazionale di George H. Bush, Brent Scowcroft, in un libro pubblicato nel 1999 e intitolato A World Transformed, gli Stati Uniti si erano trovati “in piedi da soli al culmine del potere”. Con i sovietici fuori gioco, gli Stati Uniti e i rispettivi leader avevano “la rara opportunità di plasmare il mondo e la profonda responsabilità di farlo saggiamente a beneficio non solo degli Stati Uniti ma di tutte le nazioni”.
I fallimenti dell’egemonia liberale
Nel suo ultimo lavoro, Mearsheimer spiega che “l’egemonia liberale è una strategia ambiziosa per mezzo della quale uno Stato mira a trasformare il maggior numero possibile di Paesi in democrazie liberali ricalcate sul proprio modello, promuovendo nel contempo un’economia internazionale aperta e costruendo istituzioni internazionali”. In buona sostanza, afferma il professore, “lo Stato liberale cerca di diffondere universalmente i propri valori”. Il liberalismo, infatti, “enfatizza il concetto di diritti inalienabili o naturali” e i “veri liberali si preoccupano profondamente per i diritti di praticamente tutti gli individui che vivono sulla Terra”.
Questa logica universalista, tuttavia, e di esportazione di diritti umani e di democrazia, è destinata inevitabilmente a fallire. “L’egemonia liberale – spiega Mearsheimer – non raggiungerà i suoi obiettivi, e il suo fallimento comporterà inevitabilmente costi enormi. Lo Stato liberale finirà probabilmente per combattere infinite guerre, che innalzeranno anziché ridurre il livello di conflitto sullo scacchiere internazionale e quindi aggraveranno i problemi della proliferazione nucleare e del terrorismo”. Inoltre, sottolinea il politologo, “il comportamento militaristico dello Stato finirà quasi certamente per minacciarne i valori liberali” perché il liberalismo all’estero conduce all’illiberalismo in patria”. È esattamente ciò che è successo agli Stati Uniti con le tanto dibattute Forever Wars (Afghanistan, Iraq, Libia, ecc.) e con le fallimentari esportazioni di democrazia contro cui Donald Trump si è scagliato nel corso della campagna elettorale del 2016 e a cui vorrebbe porre fine.
Il nazionalismo è destinato a prevalere
La chiave per capire i limiti del liberalismo, sottolinea John J. Mearsheimer, “è studiarne la relazione con il nazionalismo e con il realismo” ed è esattamente ciò che fa La grande illusione. “Il nazionalismo è un’ideologia politica potentissima – osserva -. Si impernia sulla divisione del mondo in un’ampia varietà di nazioni, che sono unità sociali formidabili” ognuna delle quali “ha una sua cultura specifica. Praticamente tutte le nazioni preferirebbero avere il proprio Stato, anche se non tutte sono in grado di averlo”. Anche gli Stati liberali, afferma, “sono Stati nazionali. È fuor di dubbio che liberalismo e nazionalismo possano coesistere, ma quando si scontrano, vince quasi sempre il nazionalismo”.
Anche se i progressisti, assecondando la loro visione postmodernista, tentano in tutti i modi di delegittimare il nazionalismo con argomentazioni superficiali (intendendolo meramente come uno sciovinismo esclusivo e razzista), come ricorda Mearsheimer sfatando un un tabù caro a molti analisti il nazionalismo “ha avuto il suo più grande impatto sulla sovranità al di fuori dell’Europa”, dove “ha contribuito a facilitare la decolonizzazione nel ventesimo secolo, concentrando grande attenzione sui principi di autodeterminazione e non intervento. In effetti, ha aiutato a delegittimare gli imperi. Non sorprende che i Paesi che una volta erano vittime dell’imperialismo europeo oggi sostengano il concetto di sovranità”.
“Ecco la verità sul liberalismo”
Intervistato da InsideOver all’indomani dell’uscita di The Great Delusion negli Stati Uniti, Mearsheimer ci spiegava che “la democrazia liberale è il miglior tipo di sistema politico nel mondo e che sono molto grato di essere nato e cresciuto negli Stati Uniti. Tuttavia, penso che il liberalismo come sistema politico e il liberalismo come politica estera, siano due cose diverse. Una politica estera come l’egemonia liberale è destinata a fallire perché invariabilmente si scontra con il nazionalismo e il realismo, che sono forze molto più potenti del liberalismo. Ad esempio, il nazionalismo è un’ideologia che privilegia i concetti di autodeterminazione e sovranità. Gli Stati-nazione (e viviamo in un mondo pieno di Stati-nazione) non amano l’idea che altri Paesi interferiscano nelle loro politiche interne. Basta pensare a quanto gli americani si arrabbino quando sentono dire che la Russia ha interferito nelle elezioni presidenziali del 2016”.
L’egemonia liberale, sottolineava il politologo nella nostra intervista esclusiva, “richiede che gli Stati Uniti interferiscano nelle politiche dei Paesi di tutto il pianeta. Chiede agli Stati Uniti di fare ingegneria sociale su larga scala, invadendo e conquistando Paesi, se necessario. Questa politica con ogni probabilità rischia di generare risentimento e resistenza che alla fine la indeboliranno. E per ragioni realistiche, la Russia resisterà all’espansione della Nato. Potrei aggiungere che l’egemonia liberale fa male alla democrazia liberale sul fronte interno. Nello specifico, questa politica altamente ambiziosa porta a guerre interminabili e alla costruzione di uno Stato di sicurezza nazionale sempre più potente, che sicuramente minerà le libertà civili all’interno degli Stati Uniti”.