Le ragioni che avevano spinto il Cremlino ad intervenire militarmente erano principalmente due: difendere un’amicizia che dura da quasi cinquant’anni e proteggere la sua unica finestra sui mari caldi (dunque la base aerea di Hmeymim, nella provincia di Latakia, e quella navale nel porto di Tartous).
L’annuncio a sorpresa del ritiro parziale del contingente ha spiazzato i suoi diretti avversari, in primis gli americani, ma come l’avranno presa gli alleati russi della regione? Alcuni sostengono che si tratterebbe di un messaggio indiretto dove Vladimir Putin inviti Bashar Al Assad a lasciare le redini del potere. Altri invece intravedono un accordo sottotraccia tra il presidente russo e i nemici del governo di Damasco per la spartizione della Siria in aree di influenza. Secondo questa teoria la visita di questi giorni a Mosca del capo dello Stato israeliano Reuven Rivlin, il prossimo incontro tra le autorità russe e il re saudita Salman, ed infine il blocco della consegna degli strategici missili S-300 a Teheran, non sarebbero frutto del caso.
C’è chi invece sostiene che il Cremlino abbia fatto semplicemente un calcolo egoistico legato alla situazione economica interna al Paese: dopo aver tagliato di recente il 5 per cento delle spese militari, Mosca ha scelto di ritirarsi nel momento più opportuno. Così dopo aver bonificato l’area della regione alawita e aver inflitto pesanti perdite ai gruppi terroristici attivi in Siria, la maggior parte del contingente militare se ne va lasciandosi alle spalle un ruolo da pacificatore (ieri sono iniziati i colloqui di Ginevra) e da vincitore allo stesso tempo.
La verità è che la Russia lascia il suo principale alleato nella regione solo a metà. La maggior parte del contingente si ritira con le medaglie sul petto ma le strutture militari rimarranno operative ancora per molto per poi tornare ad una ordinaria amministrazione. “Le forze aeree russe dislocate nella base siriana – ha spiegato il vice ministro della Difesa russo, Nikolai Pankov – hanno il compito di continuare a bombardare le infrastrutture dei terroristi”. Insomma, se il grosso delle truppe di Mosca sta facendo rientro a casa, il reggimento che rimane – protetto dall’avanzato sistema antimissilistico S-400 – continuerà a dare filo da torcere ai jihadisti, per quanto il numero delle sortite è destinato a calare vertiginosamente. Allentare la presa sulla Siria non significa dunque scaricare Assad. Di recente il ministro degli esteri siriano, Walid Moallem, ha affermato categoricamente che la permanenza del leader alawita al potere è la “linea rossa” che non può essere valicata e che il Paese non verrà spartito come fu fatto un secolo fa dopo gli accordi post-coloniali di Sykes-Picot. Inoltre per quanto in controtendenza con la roadmap che si sta tracciando ai colloqui di Ginevra le elezioni per il rinnovo del Parlamento siriano dovrebbero essere confermate per il 13 aprile.
A continuare le operazioni sul campo intorno alle aree controllate dal governo nella parte est del Paese contesa principalmente con i miliziani di Jabhat Al Nusra (quelli che i nostri giornali chiamano ribelli moderati ma che in realtà rappresentano il prolungamento di Al Qaeda in territorio siriano) sarà l’esercito regolare supportato dagli iraniani (parte logistica) e dai soldati di Hezbollah (parte militare). Da Canberra (Australia) il ministro degli Esteri della Repubblica Islamica, Mohammad Javad Zarif, ha definito il ritiro di Mosca un “segnale positivo”. “Il fatto che la Russia abbia annunciato il ritiro di parte delle sue forze indica che non vede l’urgente necessità di ricorrere alla forza per mantenere il cessate il fuoco”, ha affermato il capo della diplomazia di Teheran. Allo stesso modo il gruppo sciita libanese ha fatto sapere tramite un comunicato stampa che nonostante il ritiro del contingente russo, i suoi miliziani continueranno a sradicare – “giorno dopo giorno” si legge – il terrorismo dal Paese. Infine da Damasco la decisione di Mosca non sembra preoccupare nessuno. La consigliera politica del presidente siriano Bashar al Assad, Bouthaina Shaaban, in un’intervista rilasciata all’emittente “Al Mayadeen” l’ha definita “un passo naturale e positivo” che è stato discusso prima con tutte le parti coinvolte in campo. “Tutto il trambusto sollevato intorno alla decisione russa – ha detto la Shabaan – è mirato a distogliere l’attenzione dai progressi fatti nella lotta al terrorismo in Siria rispetto a quanto fatto dalla coalizione occidentale”.