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Due ore e dieci minuti al telefono. Un lungo colloquio in cui il presidente francese Emmanuel Macron ha avanzato all’omologo russo Vladimir Putin sempre le stesse richieste: la fine delle ostilità, tregua per i civili, una soluzione per la guerra che rispetti l’integrità dell’Ucraina. Il leader del Cremlino non ha battuto ciglio, replicando con le stesse identiche affermazioni dall’inizio della guerra: gli obiettivi di Mosca non sono cambiati e se l’Occidente continuerà a rifornire Kiev di armi, la soluzione non potrà che essere quella di uno scontro e di una guerra senza fine. Era dal 29 marzo che i due leader non si sentivano. Nel mezzo, l’orrore di Bucha e le elezioni presidenziali in Francia: episodi che hanno inciso inevitabilmente sulla diplomazia del leader transalpino.

L’Eliseo, terminata la conversazione, ha pubblicato come al solito il resoconto di quanto detto tra il capo dello Stato francese e quello russo. Un comunicato scarno, più simile a un telegramma che a un documento con cui viene raccontato il colloquio tra due leader in cui uno ha scatenato una guerra e l’altro prova a trovare una via d’uscita per la pace. E la sensazione è che anche da questo comunicato si evince una sorta di resa che ormai contraddistingue il presidente francese. Macron voleva (e probabilmente vuole ancora) a ogni costo intestarsi una soluzione diplomatica che ponesse fine al conflitto. Ma al momento non c’è riuscito. Il tentativo di fermare l’escalation prima dell’inizio dell’invasione, tentativo cui partecipò anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz, si è rivelato un fallimento. Così come fallimentare si è rivelata la scelta di recarsi a Mosca nella speranza di convincere Putin a desistere. Anche le conversazioni successive sono state foriere di ben poche conseguenze positive sulla guerra che nel frattempo ha insanguinato l’Ucraina. In più anche le timide reazioni francesi alla spinta atlantica di una piena contrapposizione alla Russia si sono dimostrate inefficaci rispetto a quanto espresso dalla diplomazia transalpina.

Macron e Putin, però, continuano a sentirsi. Ore di telefonate, lunghissime conversazioni che sembrano come ogni volta riportare le lancette dell’orologio indietro all’ultimo dialogo tra i due presidenti. Ogni volta una conferma di richieste da una parte de all’altra. E viene da chiedersi i motivi dietro uno scambio che continua nonostante sia apparso infruttuoso.

Per il leader russo, parlare con Macron serve soprattutto per dimostrare di avere un canale di dialogo con il Paese che più di tutti considera in grado di esprimere una leadership sull’Europa. Il Cremlino si basa su logiche molto consolidate nel tempo, in cui esistono schemi ben definiti e rigide gerarchie diplomatiche. Parigi, capitale di un vecchio impero, antica alleata nella Seconda guerra mondiale, membro del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e centro nevralgico di un Paese con cui la Russia ha da sempre un rapporto complesso, rappresenta ancora oggi per Mosca una capitale “alla pari”. Non potendo parlare con Washington e con Londra, non avendo altri riferimenti di pari livello in giro per il mondo e soprattutto all’interno del blocco occidentale, la Francia rimane l’unica potenza politica (e nucleare) che sia ritenuta un interlocutore credibile e all’altezza del Cremlino. Questo non significa che Putin ritenga Macron un suo pari nella gerarchia della superpotenze. La Russia ha sempre ricercato il riconoscimento dello status di grande potenza e non pensa che la Francia sia a lei identica per forza politica e militare. Ma è consapevole del ruolo storico francese. E sa che questa sensazione è insita anche nella stessa Francia.

Dal canto suo, per Macron questo continuo dialogo con Putin serve per confermare l’idea di essere un leader protagonista della storia, adatto a costruire una diplomazia anche autonoma rispetto a quella statunitense. La Francia ha sempre considerato il rapporto con la Russia come un qualcosa di utile e da non abbandonare nemmeno nel momento di maggiore distanza ideologica. Il padre della Repubblica francese, Charles de Gaulle, disse in uno dei suoi discorsi che il rapporto tra questi due Stati, quello russo e quello transalpino, era  “una necessità che vediamo manifestarsi a ogni svolta della storia”. E per Macron, che del gollismo si sente interprete ed erede, non può essere altrimenti. La storia recente di Parigi è anche quella del legame con l’impero più distante dal laicismo e dalla mondializzazione tipici della cultura francese.

Nell’ottica del capo dell’Eliseo, Mosca però significa anche altro. Non è solo velleità di grandeur, desiderio di essere parte della storia pur sapendo di non poter esserne ancora protagonista come un tempo. Per Macron, dialogare con Putin vuole dire anche sfruttare questa battaglia per la pacificazione dell’Europa evitando di aderire troppo alle logiche degli Stati Uniti. Gli Usa vogliono un’Europa profondamente ancorata alla Nato, stabilmente inserita nelle logiche atlantiche, che spezzi i legami con gli avversari strategici di Washington. E questo si contrappone a quella logica di autonomia strategica che più volte è stato ribadito da Macron. Il presidente francese sa, dunque, che se vuole intestarsi l’eventuale leadership di un continente “protagonista”, dovrà farlo partendo proprio dal conflitto che sta dilaniando il Vecchio Continente. Ripartire da Kiev e Mosca per riappropriarsi di uno spazio di manovra che eviti che la pace passi o per Oltreoceano, o per Oltremanica o direttamente da Ankara e Pechino.

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