La posterità giudicherà severamente coloro che non hanno capito il senso storico della (in)evitabile guerra in Ucraina. Confronto, più che tra Mosca e Kiev, fra il morente Momento unipolare e l’albeggiante Ordine multipolare.

L’Ucraina è dove si sta facendo la storia ed è anche un luogo di déjà-vu e déjà-vecu. Trincea lungo la quale si sta consumando la più importante battaglia della transizione verso il multipolarismo. Laboratorio della prima guerra senza limiti e di riproposizioni in chiave contemporanea delle esperienze afgana e irano-iraqena. Fra i teatri della guerra civile islamica e nuovo episodio del bellum perpetuum tra i fratelli coltelli d’Occidente, Stati Uniti ed Europa a guida tedesca.

L’Ucraina è dove finisce il sogno di un’Europa estesa da Lisbona a Vladivostok e dove (ri)sorge il sogno di un’Asia de-occidentalizzata estesa da Murmansk a Shanghai. Luogo del destino che sta accelerando tendenze pre-esistenti, in particolare la fine della Pax americana, e che verrà ricordato come un “super 11 settembre” per l’impronta e l’impatto sugli anni Venti e successivi.

La nostra conversazione con Ivan Timofeev

Abbiamo raggiunto in videoconferenza uno dei più importanti politologi russi in circolazione, Ivan Timofeev, per conoscere la prospettiva russa sulla guerra in Ucraina e discutere di una grande varietà di altri temi – dall’apparente sveltimento della transizione multipolare al caso Dugina.

Timofeev è un influente membro del Consiglio russo per gli affari internazionali (RIAC, Russian International Affairs Council), dal 2015 è direttore del programma “Euro-Atlantic Security” presso il Valdai Discussion Club ed è stato, prima dell’ingresso nel RIAC, a capo del Centro di monitoraggio analitico e professore associato presso l’Università MGIMO (2009–2011), presso il quale ha conseguito un dottorato in scienze politiche. Timofeev è, inoltre, autore di oltre ottanta pubblicazioni pubblicate sulla stampa accademica, sia russa sia straniera, e docente presso l’Accademia di Scienze Militari.

Professor Timofeev, molti analisti erano dell’idea che una guerra su larga scala in Ucraina fosse estremamente improbabile, dato che la Russia, in apparenza, avrebbe avuto più contro che pro. Alla fine, però, è scoppiata. Quello che sappiamo è che, fino a questo momento, la Russia è riuscita a resistere alla cosiddetta “guerra economica totale” lanciata dalla presidenza Biden e dai suoi alleati e che il conflitto, nel complesso, ha tutte le carte in regola per passare alla storia come un “super 11 settembre”: molti paesi non allineati sembra che si stiano allineando – e, tra l’altro, dalla parte della Russia –, i BRICS sono tornati a nuova vita, la dedollarizzazione sta subendo un’accelerazione e molto altro ancora. Ci stiamo chiedendo: ma il cosiddetto Rest, cioè il Resto del mondo, dalla parte di chi sta?

La mia risposta vuole essere coscienziosa. Se da una parte è vero che la reazione del resto del mondo è la prova che non siamo isolati, dall’altra si trova l’Occidente che, tra divieti di viaggio, restrizioni finanziarie,  cultura della cancellazione ed altro, sta emarginando in misura critica e crescente la Russia.

Molti paesi si stanno astenendo dal votare [contro la Russia] in sede di Assemblea generale delle Nazioni Unite, così come tanti altri non hanno aderito al regime sanzionatorio. Ma questo non significa, comunque, che Il Resto (The Rest) si stia allineando con la Russia e ne stia supportando le posizioni. Significa soltanto che molti paesi non vogliono compromettere i loro interessi essenziali e che neanche desiderano essere coinvolti nel conflitto. Ma alcuni di loro stanno perseguendo questo obiettivo parteggiando inavvertitamente per gli Stati Uniti, dei quali evitano accuratamente le sanzioni secondarie. Persino paesi come la Cina, se si guarda alle loro imprese, stanno agendo con molta cautela. Restando in materia di Cina, gli affari ordinari vanno avanti come al solito, ma le imprese operanti in ambiti colpiti da sanzioni o non vengono o stanno studiando attentamente i passi da fare.

In breve: avete ragione nel dire che la Russia non è isolata. Ma questo, di nuovo, non significa che Il Resto del mondo stia dalla parte della Russia nella questione ucraina.

È di nuovo l’Occidente contro il Resto del mondo, come durante la Guerra fredda. E alcuni eventi, come il comportamento delle grandi potenze del Sud globale – Argentina, Brasile, Arabia saudita e altre –, sembrano indicare che il Resto stesse aspettando un “grande evento” per disfarsi dell’Occidente e darsi coesione. Qual è la sua opinione in merito?

Beh, di nuovo, vorrei fare una riflessione coscienziosa. L’Occidente è molto consolidato, molto di più del Resto del mondo. L’Occidente ha le sue istituzioni securitarie, come la NATO, un insieme di organizzazioni di partenariato economico, come il G7, e molti altri organismi. Se guardiamo al Resto, però, non si vede una simile infrastruttura.

Si pensi ai BRICS. Che cos’è il gruppo dei BRICS? È un’entità molto informale, con una base infrastrutturale povera, una sorta di club di discussione che non diventerà qualcosa di più grande nel prevedibile futuro. Perciò, non sopravvaluterei il consolidamento del Resto del mondo.

Alcuni paesi del Resto, inoltre, sono agli antipodi l’uno con l’altro. Per esempio, Cina e India sono entrambi membri BRICS, eppure presentano dei forti disaccordi in molti ambiti.

Avete giustamente osservato come Argentina e Brasile sarebbero felici di cooperare con la Russia il più possibile. Ma logistica e distanza geografica, allo stesso tempo, rendono le loro relazioni con noi molto tenui. Per di più, essendo entrambi i paesi pesantemente dipendenti dagli Stati Uniti in termini di transazioni finanziarie, non sacrificheranno i loro interessi sull’altare di una maggiore cooperazione con la Russia.

Dal mio punto di vista, il Resto del mondo sta giocando con cautela. Vero è che si sta distanziando dalla narrativa occidentale sull’Ucraina e che, in generale, è poco interessato a partecipare al conflitto, ma, di nuovo, ciò non significa che l’insieme degli eventi lo stia incoraggiando o stimolando a darsi una maggiore coesione.

Considerato che i riverberi internazionali della guerra in Ucraina stanno mostrando il potenziale di spianare la strada ad un ordine post-americano, si potrebbe affermare che il Cremlino “ha avuto ragione” nel scommettere sull’invasione. Perché ogni guerra è anche una scommessa e, perlomeno in termini di impatto globale, sembra che la Russia la stia vincendo. A parte questo, però, sorge spontanea la domanda “più difficile”: era davvero impossibile proseguire coi negoziati?

La domanda è se stiamo assistendo ad una rivoluzione oppure no. Stiamo indubbiamente attraversando una transizione dell’ordine internazionale, con gli eventi in Ucraina in funzione di acceleratore di tale processo. Ma il punto è che non è stato il conflitto in Ucraina a stimolare, o provocare, questa rivoluzione. La rivoluzione era già in corso e sta ora continuando ad andare avanti, sebbene lentamente.

L’Ucraina è soltanto uno dei fattori che hanno contribuito a catalizzare l’arrivo di un nuovo ordine mondiale. Ma non l’unico. Perché ve ne sono molti altri, quali, ad esempio, la resistenza dell’Iran alle sanzioni occidentali, le relazioni sino-americane in evoluzione, la questione taiwanese, eccetera. Spiegato altrimenti: questa rivoluzione non è il risultato del conflitto, ma di un insieme di fattori.

Riguardo le negoziazioni, beh, io sono dell’idea che si potesse continuare a trattare. Il fatto è che nessuna delle parti era disposta a sacrificare i propri interessi focali nel nome di un qualche compromesso. C’erano delle chiare linee rosse.

Gli Stati Uniti e l’Unione Europea non avrebbero abbandonato la politica delle porte aperte della NATO, non avrebbero dato garanzie sul non ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza, non avrebbero riconosciuto il controllo russo sulla Crimea, per non parlare del riconoscimento di Donetsk e Lugansk. C’erano spazi per il dialogo su altri argomenti, dal controllo degli armamenti al cambiamento climatico, ma nessuno di essi era cruciale per la sicurezza della Russia. Il punto cruciale era – ed è – l’infrastruttura della NATO e il suo sviluppo.

Cambiando per un attimo argomento, che cosa ne pensa dell’assassinio di Daria Dugina? Perché è stata uccisa?

Le autorità che hanno investigato sul caso hanno prodotto diverse dichiarazioni in merito. Ci sono validi motivi per sospettare dei cittadini ucraini di responsabilità diretta nell’assassinio. Abbiamo i loro nomi. Conosciamo i loro volti. E abbiamo anche una versione delle loro attività in Russia.

Sul perché sia stata uccisa, beh, era sicuramente un simbolo. E questo atto può essere chiaramente ritenuto un gesto simbolico contro la Russia, la sua società e i suoi pensatori, in special modo quelli conservatori. Ecco perché persone di ogni estrazione hanno dato i loro omaggi alla famiglia Dugin.

In Occidente è convinzione comune che Aleksandr Dugin, soprannominato “il cervello di Putin” e “il Rasputin di Putin”, sia un pensatore influente. L’attentato a Daria Dugina aveva a che fare con la reputazione del padre? E Dugin è realmente quest’eminenza grigia descritta dalla stampa occidentale?

Non direi che Dugin sia un pensatore popolare in Russia. Non lo è. È abbastanza marginale. È considerato, a torto, una specie di stratega o ideologo di Putin, mentre non lo è. È marginale e non è in alcun modo presente nel mainstream.

Comunque, l’assassinio di sua figlia… poteva avere qualsiasi idea e aveva il diritto costituzionale di averla e promuoverla. Il suo assassinio brutale ha scatenato indignazione e provocato oltraggio per molti, qui in Russia, e questo potrebbe sancire una svolta.

Henry Kissinger ha avvisato l’amministrazione Biden, e in esteso la classe dirigente americana nella sua interezza, come ciò che percepisce come una combinazione di assenza di lungimiranza e perdita di pensiero strategico stia gettando le fondamenta di un confronto militare diretto tra gli Stati Uniti e il blocco russo-cinese. Concorda?

Concordo con la sua affermazione. Ha ragione nel senso che sta aumentando il rischio, in tutto il mondo, della conseguenza indesiderata di confronti diretti tra le grandi potenze. E non è soltanto il rischio di un confronto NATO-Russia alla luce dell’eccessivo supporto NATO all’Ucraina. Sto pensando anche al Baltico, a Kaliningrad e alla Cina, dove il rischio di uno scontro sino-americano per Taiwan sta crescendo.

È vero che Russia e Cina sono sempre più spinte a cooperare l’una con l’altra, ma la domanda è: saranno mai alleate militari o la loro alleanza morirà prima [che ciò avvenga]? Non guardo a tutto quello che sta accadendo come ad un “Russia e Cina contro l’Occidente”, perché il loro partenariato è ancora un lavoro in corso.

Kissinger è uno dei più grandi strateghi che siano mai esistiti. I suoi insegnamenti saranno studiati dalla posterità. La sua eredità sarà per sempre. Ci chiediamo, però, se stavolta non si stesse sbagliando. E se la strategia degli Stati Uniti, per quanto caotica possa sembrare, fosse basata sull’idea di Zbigniew Brzezinski di utilizzare l’Ucraina per espellere la Russia in Asia nell’aspettativa che anneghi nei problemi del continente – terrorismo, scontri interetnici, dispute territoriali, rivalità regionali, eccetera – e che il suo asse con la Repubblica Popolare Cinese imploda a causa della “coabitazione forzata”? Questa potrebbe essere la logica nascosta dell’apparentemente controproducente e antistrategica politica del “doppio contenimento”.

Ricordo di questa vecchia idea, dei concetti esposti nella Grande scacchiera… beh, da un punto di vista logico, gli Stati Uniti avrebbero dovuto attrarre la Russia nel loro campo. Ed erano nelle condizioni di prevedere un avvicinamento della Russia alla Cina in caso di pressioni crescenti [alla Russia] provenienti dall’area euroatlantica. Eppure, gli Stati Uniti non la stanno attraendo nel loro campo.

Da quel che ho capito, nel pensiero dominante americano la Russia non è né un grande problema né un grande portatore di interessi. Gli Stati Uniti continuano a considerare la Russia un opponente pericoloso, ma che non ha potenziale a sufficienza da rendere determinante un’alleanza nella loro competizione con la Cina nell’Asia-Pacifico.

Penso che gli Stati Uniti stiano commettendo un errore e che stiano perdendo più di quanto potrebbero guadagnare. Infatti, avrebbero potuto risolvere molti problemi internazionali e sistemare alcuni sistemi di alleanze accomodando la Russia. Ma, ora, queste opportunità sono state perdute completamente. La Russia sta chiaramente e crescentemente collaborando con la Cina. Non sappiamo quale sarà il fato di questa relazione, ma sappiamo che al momento non esiste possibilità di cambiarne la direzione, anche alla luce di quanto successo in Ucraina.

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