Mentre il Sars-CoV-2 si stava diffondendo in tutto il mondo gli Stati Uniti non sono riusciti, o meglio hanno deciso di non prendere, adeguate contromisure per limitare la corsa del virus. La pandemia di Covid ha incendiato l’America a cavallo tra il marzo e l’aprile 2020, cioè circa due mesi dopo la prima apparizione ufficiale del patogeno a Wuhan, in Cina. Molti pensavano che quella strana polmonite emersa nella provincia dello Hubei non avrebbe mai superato la muraglia, né che tanto meno sarebbe arrivata a colpire l’Occidente con una simile forza d’urto.

Non appena Washington si rese conto dell’emergenza all’interno della quale stava per cadere, Anthony Fauci divenne una delle figure più importanti del Paese nella lotta contro il coronavirus. In quei giorni convulsi, ha svelato il Washington Post, il virologo della Casa Bianca si è reso protagonista di un intenso scambio di mail con gli scienziati cinesi. Nelle 866 pagine di email inedite ottenute dal quotidiano americano – che le ha richieste in base al Freedom Information Act – troviamo diversi spunti interessanti che potrebbero far luce sulla scellerata iniziale gestione pandemica statunitense. Innanzitutto, nelle prime settimane dell’emergenza Covid, Fauci faticava a farsi ascoltare dall’allora presidente Donald Trump, convinto che la pericolosità del virus fosse sovrastimata all’inverosimile.

Le mail tra Fauci e i cinesi

È molto interessante focalizzare l’attenzione sullo scambio, datato 28 marzo, tra Fauci e George Gao, uno dei responsabili sanitari cinesi. Gao si scusa con Fauci dopo un’intervista rilasciata a Science. Lo scienziato asiatico spiegava al collega, ed amico americano, di non aver mai usato le parole “grosso errore” nel descrivere l’atteggiamento del governo Usa e di altri governi occidentali, che ancora non avevano reso obbligatorio l’uso delle mascherine. “Ho visto l’intervista a Science, come potevo dire una parola del genere ‘grande errore’ sugli altri? Questa era l’espressione del giornalista. Spero che tu capisca”, afferma Gao, preoccupato di avere offeso Fauci.

Poi aggiunge, “lavoriamo insieme per cancellare il virus dalla Terra”. La risposta di Fauci è anch’essa un invito alla collaborazione: “Capisco completamente. Nessun problema. Ce la faremo insieme”. A quanto pare Fauci, al contrario di Trump, che già all’epoca stava iniziando a puntare il dito contro presunte responsabilità di Pechino, si fidava degli esperti cinesi.

Minacce e scorta

In un secondo momento, probabilmente vista l’entità dell’emergenza, le corrispondenze con gli scienziati cinesi spariscono dai radar. Nessuno, neppure l’amico Gao, si sarebbe più fatto vivo con il virologo della Casa Bianca. È forse in quel periodo che Fauci inizia ad alzare l’asticella del pericolo, contraddicendo, seppur mai direttamente, le controverse opinioni di Trump. Fu allora che lo scienziati iniziò a ricevere una serie di minacce da alcuni sostenitori di The Donald, che lo accusavano di essere favorevole alle misure restrittive che avevano portato alla chiusura delle scuole e di molte attività produttive.

Ad aprile torna a farsi vivo Gao, che è anche membro della National Academy of Sciences Usa: “Spero che tu stia bene in questa situazione così irrazionale”. “Grazie per la tua mail – è la risposta di Fauci, tre giorni dopo – va tutto bene, nonostante qualche pazzo”. Le minacce spinsero le autorità Usa ad assegnare a Fauci una scorta. Alla luce di tutto ciò possiamo fare due considerazioni. Primo: nonostante Fauci avesse contatti con almeno uno scienziato cinese, quella collaborazione portò a un nulla di fatto. Secondo: nel caso in cui l’amministrazione Trump, compresi gli esperti, avessero reagito fin da subito in modo diverso, forse gli Stati Uniti avrebbero potuto limitare i danni.