Un Paese spaccato, un elettorato profondamento diviso: è questa la prima impressione che si ha scorrendo i dati delle elezioni in Turchia. Sia nel voto per le presidenziali che in quello per le legislative, a prevalere è una profonda spaccatura. Da un lato ci sono gli elettori che hanno ridato fiducia sia al presidente Erdogan che all’Akp. Dall’altro, la galassia dell’opposizione che questa volta è riuscita a mettere seriamente in discussione l’egemonia del capo dello Stato uscente.

Il solco all’interno della società turca è esteso su più fronti. Non c’è soltanto una divergenza di opinione nell’elettorato. Sembra proprio esistere una netta differenza tra città e campagna, giovani e meno giovani, ceti medi e ceti ricchi. E non è una sorpresa: la spaccatura era evidente da tempo. Così come, al tempo stesso, era evidente un progressivo calo di consenso per il mondo attorno a Erdogan. Mondo che, fra due settimane, saprà però se potrà o meno rimanere in sella.

La profonda spaccatura tra città e campagna

Guardando la mappa del voto turco, si notano alcuni dettagli importanti. I media hanno colorato di rosso le province dove a prevalere è stato Kemal Kilicdaroglu, candidato dell’opposizione. In arancione invece le province rimaste fedeli a Erdogan. Il rosso circonda di fatto l’Anatolia. La costa ha votato per il rappresentante dell’opposizione, creando una “cintura” attorno la parte interna della Turchia. Ci sono poi due “macchie rosse” nel mare arancione pro Erdogan: si tratta delle province di Eskisehir e di Ankara. Qui Kilicdaroglu ha ottenuto rispettivamente il 50% e il 47%, precedendo il presidente uscente di pochi ma decisivi punti percentuali.

In questo contesto, è quindi notabile la spaccatura imperante tra le grandi città e le aree meno urbanizzate. A Istanbul, città dove l’attuale capo dello Stato ha iniziato la sua carriera politica, a prevalere è stato Kilicdaroglu con il 48%. A Smirne, il candidato dell’opposizione ha superato il 60%. L’opposizione ha prevalso anche ad Antalya, Adana, Mersin. Non si tratta però di sorprese: nelle amministrative del 2019, in queste città l’Akp è diventato minoranza. Anche nella Istanbul del presidente in quell’occasione si è avuto un clamoroso sorpasso da parte del Chp.

La spaccatura tra grandi città e aree rurali per certi versi risulta netta. Ma presenta anche sfumature non secondarie. Nelle metropoli Erdogan non ha vinto, ma ha comunque raccolto milioni di voti. Il fattore determinante è stato forse rappresentato dai giovani. Gli ultimi sondaggi prima del voto parlavano di un 20% scarso, all’interno delle nuove generazioni, rimasto al fianco dell’Akp. Studenti e giovani impiegati hanno dato una spinta importante a Kilicdaroglu nelle grandi città, soprattutto nell’ovest del Paese. Spinta che non c’è stata in altre metropoli orientali. Gaziantep ha ridato fiducia a Erdogan, qui il 60% ha votato per la riconferma del presidente uscente. A Erzurum, l’Akp ha raggiunto quasi il 70%. Un discorso simile vale per Trebisonda, sul Mar Nero, dove Erdogan è andato oltre il 65%. Infine Bursa è stata l’unica grande città dell’ovest dove l’opposizione ha seriamente stentato, con Kilicdaroglu incapace di andare oltre il 40%.

Elaborazione di Cnn Turk sul 99,8% dei voti scrutinati.

Il voto dei curdi

Si potrebbe quindi pensare a una spaccatura tra est e ovest, ma in realtà è proprio nelle regioni più orientali che l’opposizione ha guadagnato maggior terreno. E qui a entrare in ballo è il fattore curdo. Nelle province a maggioranza curda, la gente ha votato in massa per Kilicdaroglu. O, per meglio dire, contro Erdogan. Del resto il presidente turco negli ultimi dieci anni ha avviato molteplici operazioni di polizia nelle aree curde e ha lanciato operazioni militari anche oltre confine in Siria.

A Diyarbakir il candidato del Chp ha raggiunto il 71%, a Van il 62%. Per le legislative, il voto curdo è andato in massa alla lista comprendente l’Hdp, ossia il partito di riferimento della popolazione curda. Proprio grazie al voto nelle province più orientali, la formazione fondata da Demirtas, la quale però non sosteneva alcun candidato alla presidenza, è potuta entrare in parlamento. E nella prossima legislatura potrà contare su 59 deputati.

Il voto nelle aree terremotate

Era interessante notare anche il voto nelle zone colpite dal sisma del 6 febbraio scorso. Il terremoto ha ucciso più di 50mila persone, una tragedia nazionale che da subito ha avuto dei risvolti politici. Per i detrattori di Erdogan, l’emergenza è stata gestita malamente e inoltre è stato più volte puntato il dito contro i piani edilizi degli ultimi anni. Sono stati infatti alcuni dei palazzi più moderni a cedere sotto il peso delle scosse. Per i sostenitori del presidente invece, la risposta del governo è stata immediata e ha garantito immediati soccorsi. A prevalere tra gli elettori interessati è stata quest’ultima posizione.

Gaziantep, tra le aree più colpite, come detto ha confermato il suo sostegno a Erdogan. A Kahramanmaras, lì dove è stato registrato l’epicentro della scossa principale, il presidente uscente ha ottenuto il 70% dei voti. Discorso analogo vale per la provincia di Sivas, tra le più devastate. Le uniche eccezioni in tal senso sono state registrate ad Adana e nella provincia di Hatay.

Il costante calo dell’Akp

Il voto turco consegna quindi un Paese spaccato, ma non tranciato di netto nel dualismo tra pro e contro Erdogan. Più semplicemente, la Turchia di oggi è lontana da quella immaginata dall’attuale presidente negli ultimi anni. Non un Paese guidato da un partito egemonico, come nelle volontà dell’Akp, ma una società con al suo interno diverse sfaccettature. Alcune volte coincidenti con i piani politici di Erdogan, altre volte invece no. Lo si vede anche dai dati delle ultime elezioni: nel 2011 l’Akp ha ottenuto il 49% dei consensi, risultato replicato quattro anni più tardi, mentre nel 2018 il partito del presidente è sceso al 42% e oggi non è andato oltre il 35%. Per avere una maggioranza stabile, Erdogan è costretto ad affidarsi agli alleati nazionalisti del Mhp.

Il 28 maggio, data del ballottaggio, il presidente uscente si presenterà da favorito e probabilmente riuscirà nell’intento di ottenere una riconferma. Ma dovrà governare un Paese politicamente più complesso, con una società non più disposta a digerire le sue mire egemoniche. E forse di questo se n’è accorto lo stesso Erdogan, il quale non ha fatto drammi sulla mancata elezione al primo turno e ha anzi parlato di “prova di maturità democratica” da parte dei turchi.

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