Giuseppe Conte torna davanti al parlamento per discutere della crisi e dei piani messi a punto dal governo per far fronte all’emergenza coronavirus. Mascherine, distanziamento sociale, ripartenza dell’industria. Ma nella discussione sulla Fase 2 del Paese rientra, inevitabilmente, il Mes: il famigerato strumento europeo che da subito ha scatenato l’ira del fronte sovranista e le forti perplessità in seno alla maggioranza. Specialmente da parte pentastellata.
Conte doveva chiarire. Era questo l’obiettivo del suo discorso in Senato. Perché sul Meccanismo europeo di stabilità i dubbi non si sono mai sopiti. L’Eurogruppo ha dato alcune linee guida che dovranno poi passare al vaglio del Consiglio europeo. Ma da quei lunghissimi negoziati tra governi era uscito, sul fronte Mes, un solo impegno: quello di isolare una linea di credito pari al 2% del Pil del singolo Stato da assegnare al Paese che ne faccia richiesta senza condizionalità. Condizionalità economiche su cui si fonda tutta la struttura del Mes e che non dovrebbero essere attivate solo per le spese sanitarie dirette e indirette legate all’emergenza Covid. Un impegno approvato dal governo nella persona del ministro Roberto Gualtieri.
Conte è andato in parlamento e ha chiarito. Ma ha chiarito in realtà la sua completa resa. Perché il discorso del presidente del Consiglio in Senato ha semplicemente confermato la linea espressa dall’Eurogruppo con alcune divergenze sostanziali già viste in sede di negoziato, ma che di fatto non cambiano la posta in gioco.
Il premier è stato in verità chiarissimo: il Mes non è più in discussione in sede europea. E dal momento che non vuole ammetterlo, per far capire all’Italia di averlo accettato usa un vero e proprio artificio retorico, con due espressioni molto interessanti. La prima: “Rifiutare la nuova linea di credito sarebbe un torto a quei Paesi che ne vorrebbero usufruire”. La seconda: “Per come è stato concepito il Mes è uno strumento che ha espresso linee di finanziamento caratterizzate da forti condizionalità economiche. Condizioni che ritengo inaccettabili data la natura della crisi. Resto convinto che all’Italia serva altro”.
Queste due dichiarazioni sono la certificazione che dietro il discorso di Conte in Senato ci siano due realtà. La prima è l’accettazione del Mes come proposto dall’Eurogruppo e perorato dal Partito democratico perché il Mes senza condizionalità è un impegno già approvato su cui Conte darà il semaforo verde dicendo che per come è stato concepito all’origine non è utile. La seconda realtà, altrettanto importante, è la piena affermazione di un altro principio: si segue la linea dettata da altri. In questo caso, per esempio, di Francia e Spagna. Con il placet nemmeno troppo oscuro di Angela Merkel, vera dominus di questa crisi e dell’Unione europea.
Il fatto che ieri sia uscito dalle pagine del Pais il progetto di Pedro Sanchez per il futuro piano europeo anti crisi fa capire la vera partitia che si sta svolgendo in Europa. E fa capire quale sia la posta politica in gioco in questo momento. L’Italia, con Conte, ha voluto rappresentare (o ha avuto indirettamente il compito di farlo) il fronte delle “cicale”, i Paesi contrari al Mes e a totale favore degli eurobond. Dall’altro lato i Paesi Bassi hanno rappresentato l’avamposto incrollabile dei rigoristi, favorevoli al Mes e contrari agli eurobond. In mezzo tre Stati: Francia, Germania e Spagna, che hanno fatto nel frattempo un vero e proprio negoziato parallelo, con Emmanuel Macron e Merkel a giostrare, come veri registi, la discussione. Perché gli scontri fra Parigi e Berlino restano del tutto superficiali rispetto all’asse sottostante.
Conte ha giocato le sue carte di “sfondamento” coadiuvato da Macron e pensando di avere il sostegno di Sanchez. Ma in realtà è servito come controproposta. Impossibile accettare la sua linea: perché nessuno avrebbe accettato gli eurobond e rifiutato il Mes. Più facile accettare una via di mezzo che avrebbe accontentato tutti (leggi accontentato la Germania). Ed ecco la proposta di Sanchez citata dallo stesso premier in Senato. Il Mes rimane sul tavolo (e la Spagna probabilmente darà l’ok), recovery fund da 1.500 miliardi e sospensione del dibattito sugli eurobond che, come già detto, non piacciono a Berlino. Un piano non troppo diverso da quello di cui ha parlato oggi Conte davanti ai senatori, visto che sul Mes ha dato una sorta di placet e ribadito la cifra da 1.500 miliardi che ricorda fin troppo bene la “carta segreta” avuta da El Pais ieri. Così la linea Italia non passa, non passa la linea olandese, ma passa in realtà la linea franco-tedesca con la Spagna che si insinua sempre di più quale terzo polo (ovviamente minore) dell’asse tra Francia e Germania, isolando un’Italia debole politicamente e ancor più economicamente.
“Bisogna attendere l’elaborazione dei documenti predisposti per erogare questa linea di credito. Solo allora potremo discutere se il relativo regolamento può essere o meno opportuno agli interessi nazionali” si dice a Palazzo Chigi. Ma intanto le carte sono già state giocate.