Il primo grande scontro diplomatico tra Unione europea e Regno Unito post-Brexit avviene a Jersey, la più grande delle isole della Manica, sconosciuta ai più. Un piccolo atollo a largo della Normandia che vanta uno status speciale: non dipende dal Regno Unito bensì direttamente dalla Corona, e da ciò che rimane del Ducato di Normandia. I governi locali, dunque, di fatto sono autonomi, e per queste ragioni gli abitanti dell’isola non sono stati chiamati nemmeno a votare nel referendum sulla Brexit, ma si trovano invischiati in delle sabbie mobili diplomatiche che sono una eredità diretta dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Nello specifico, gli accordi sui diritti sulla pesca nel mare intorno all’isola hanno dato vita ad un braccio di ferro di dimensioni inimmaginabili, costringendo sia Londra che Parigi a inviare navi militari nell’isola.
Lotta per la pesca
Il premier britannico Boris Johnson ha deciso di rispondere con la forza alle discussioni con i funzionari locali circa le proteste mosse da decine di pescatori francesi della capitale di Jersey, Saint Helier. Questi, in seguito alle restrizioni imposte da Londra, hanno manifestato il proprio malcontento forti del sostegno di Parigi che, per tutta risposta, attraverso il ministro francese Annick Girardin ha minacciato di tagliare l’elettricità all’isola, visto che riceve dalla Francia il 95% della corrente elettrica.
Sebbene la pesca rappresenti una parte risibile delle economie di entrambi i lati della Manica, ha rappresentato da subito uno dei nodi politici cruciali degli accordi post-Brexit. La riconquista del controllo sulle acque del Regno Unito è stata infatti una battaglia fondamentale portata avanti dai sostenitori del Leave nel 2016. In base agli accordi con l’Ue, le barche europee devono godere del diritto di pesca nelle acque del Regno Unito per diversi anni ancora, almeno fino al 30 giugno 2026, quando, in modo del tutto graduale, i pescherecci di Sua Maestà otterranno una quota maggiore di mare da perlustrare. La maggior parte di questa quota deve passare di mano proprio quest’anno. E infatti si è assistito da subito alla nascita dello scontro diplomatico. Dal 2021 in avanti, inoltre, le ripartizioni dovranno essere negoziate annualmente fino al 2026, quando il Regno Unito disporrà del diritto esclusivo di pesca, a cui Bruxelles punta a rispondere con un carico di tasse sulle esportazioni di pesce britannico in Ue o negando a propria volta l’accesso al mare europeo ai pescherecci britannici. Per dare un’idea della difficoltà dei negoziati post-Brexit, il solo accordo sulla pesca supera le 1.200 pagine.
Le scintille tra Francia e Regno Unito dopo la Brexit
Un’interpretazione restrittiva del capitolo sulla pesca da parte di Downing Street ha limitato drasticamente dalla settimana scorsa il numero di licenze rilasciate dall’isola Jersey, a spese dei pescherecci francesi che si sono ritrovati privi di tutta una serie di documenti richiesti. Secondo la Commissione europea, queste condizioni imposte dal Regno Unito “non rispettano le disposizioni dell’accordo” post-Brexit sulla pesca. Ma il ruolo di Bruxelles nella disputa è assolutamente marginale, poiché quello tra Francia e Regno Unito è una sorta di “fatto personale”, come testimonia il fatto che i transalpini siano stati i più tenaci oppositori della Brexit in fase di negoziazione degli accordi, nonché uno dei principali motivi per cui l’opinione pubblica britannica si sia convinta ad abbandonare l’Ue.
Regno Unito e Francia sono una sorta di potenze gemelle. Entrambe sono potenze nucleari, sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e hanno grandi e competitive industrie nazionali di difesa. I loro bilanci a riguardo e il numero di personale in servizio attivo sono di dimensioni piuttosto simili. Presi insieme, i bilanci della difesa dei due paesi rappresentano quasi la metà di tutta la spesa per la difesa in Europa. A differenza di molti altri paesi europei, il sostegno pubblico e parlamentare alle forze armate e alla spesa per la difesa è forte. Ancora più importante, entrambi i paesi possiedono una forte cultura strategica, nonché interessi e responsabilità globali che li spingono a schierare forze all’estero a sostegno dei loro interessi nazionali e in difesa delle regole e norme internazionali.
Gli interessi divergenti
Ma, ovviamente, la loro stessa natura le costringe ad una sorta di competizione e quindi anche di divergenze strategiche. In Europa, il Regno Unito dà la priorità alla minaccia della Russia a est, mentre la Francia è più concentrata sulle minacce transnazionali provenienti dal sud e anzi Macron è tra i più accesi sostenitori di un aperturismo verso Mosca. Dopo la Brexit, Londra si è affrettata un accordo di libero scambio con la Turchia, rafforzando i rapporti con Ankara, a dir poco altalenanti invece tra Macron e Erdogan. Più in generale, poi, uno dei nodi principali è rappresentato proprio dalle diverse vedute della difesa europea in un contesto post-Brexit. Il Regno Unito sta rilanciando fortemente le sue relazioni di sicurezza bilaterali con gli Stati Uniti, e pure all’interno della Nato, mentre il presidente Macron sostiene da sempre un’Europa più sovrana nella difesa.
Nel più ampio progetto espansionista francese, poi, ci sono dossier che riguardano entrambi i Paesi, spesso come spalle, ma anche come rivali (come nel disimpegno francese del 2003 in Iraq). La Francia ad esempio sta rafforzando dal 2019 la propria presenza nella regione dell’Indo-Pacifico che si estende da Gibuti alla Polinesia, specie in chiave di contenimento alle mire della Cina. Insieme alle marine della Quad (Quadrilateral Security Dialogue), Parigi si auspica il coinvolgimento anche di altri paesi come il Regno Unito, che ha però a sua volta interessi notevoli nell’area, e visto che sarà un teatro cruciale della Global Britain di Boris Johnson non vorrebbe cedere la guida all’Eliseo. Francia e Regno Unito si “contendono” anche l’alleato egiziano, con Al-Sisi storicamente amico della Corona, ma con i francesi più bravi a riempire il Cairo di tecnologie militari: l’Egitto ha appena acquistato altri trenta cacciabombardieri Rafale, un affare che vale 3,75 miliardi di euro. Il Rafale, per inciso, è il grande rivale dell’Eurofighter prodotto dall’alleanza anglo-tedesco-spagnolo-italiana, così come il futuro caccia Tempest anglo-italo-svedese sarà il rivale dell’aereo di sesta generazione prodotto da Dassault e Airbus che sembra però a rischio naufragio. Tra scenari geopolitici, tecnologie militari e aperture di nuovi canali commerciali, la disputa sulla pesca nelle Isole della Manica è solo uno stress-test di un rapporto, quello tra Francia e Regno Unito, che rischia di tornare parecchio teso.