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Giancarlo Giorgetti ne è un ardente sostenitore, buona parte della Lega del Nord la vedrebbe di buon occhio, Matteo Salvini per ora resta titubante e gli ostacoli da superare sono molti: ma l’entrata della Lega nel Partito Popolare Europeo è diventata ben più di una questione di dibattito politico e inizia ad essere un tema che potrebbe avere sviluppi concreti. Specie se il Carroccio, primo partito europeo nella rappresentanza a Strasburgo e possibile perno della coalizione atipica che si prepara a sostenere il governo di Mario Draghi, dovesse avere un peso strategico nell’elaborazione dei progetti dell’ex governatore della Bce.

La sensazione dominante dalle parti del Carroccio è che la tradizionale ala “pragmatica”, esponente del mondo produttivo e imprenditoriale del Nord uscito fortemente provato da un 2020 che ha visto l’esplosione del Covid-19proprio in Lombardia, abbia preso le redini delle rotte del partito e detti la via alla Lega.

Il ragionamento è stato limpidamente espresso dal consigliere regionale lombardo Giovanni Malanchini, ex sindaco di Spirano (Bergamo) e attuale responsabile degli enti locali lombardi del partito, che ha parlato a La Stampa e secondo cui per capire la svolta della Lega basta “andare nelle anticamere dei sindaci del Nord e vedere la gente che ha perso il lavoro e chiede aiuto. Allora si capisce che non è più tempo di fare gli schizzinosi o di campagne elettorali. Questo è il momento di lavorare tutti insieme per uscire dalla crisi”. La Lega, radicata da decenni nel mondo produttivo e in sintonia con la forma mentis del cuore industriale del Paese, ha fiutato il vento che cambia: il Paese chiede sicurezza, in primo luogo in campo economico, le imprese e i lavoratori cercano certezze nella ripresa delle filiere industriali tradizionali che collegano l’Italia alle piattaforme produttive centrate sulla Germania, ai legami economici va fatta seguire la necessaria rete di contatti internazionali che ha nel Partito Popolare Europeo il suo perno.

Un adagio geoeconomico che l’Europa di questi anni ci ha insegnato è che dove va Berlino va tutto il Vecchio Continente. E la finestra aperta dall’elezione di Amin Laschet a successore di Angela Merkel segnala che negli anni a venire ci saranno pochi margini di dialogo per un appiattimento del partito-guida del Paese, la Cdu, sulle posizioni liberiste e più austeritarie che la Cancelliera ha dovuto, negli ultimi tempi, abbandonare e si aprirà un laboratorio politico che, finché varrà la sospensione della censura Ue sui conti pubblici, potrebbe permettere a Paesi come l’Italia di programmare strategicamente la ripartenza. Dunque, la Lega vuole giocare la partita sfruttando il Recovery Fund per metterci materialmente mano e utilizzando il governo Draghi come grimaldello per poter recuperare posizioni in Europa, laddove la guida del gruppo Identità e Democrazia impedisce al Carroccio e ai suoi alleati (dal Rassemblement National ad Alternative fur Deutschland) di toccare palla nei processi decisionali.

“Il piano della Lega per accasarsi nel Partito popolare europeo è ormai pronto”, sottolinea Repubblica, e passa per la federazione del Carroccio con Alternativa Popolare, la formazione centrista legata al Ppe creata dall’ex ministro Beatrice Lorenzin a cui recentemente si è unito il dissidente M5S Gianluca Rospi, che ne detiene il simbolo. “La partita”, in ogni caso, “resta difficile non solo perché il segretario non ha ancora dato il via libera finale all’operazione, ma anche perché all’interno dello stesso Ppe molti partiti non si fidano” di Salvini. La stessa Cdu considera importante il dialogo col Carroccio, che prosegue sotto traccia da mesi con la mediazione di Giorgetti, ma non vorrebbe vedere la delegazione italiana sommante Forza Italia, Lega e altre formazioni superare numericamente quella tedesca.

Inoltre, i popolari tedeschi sicuramente chiederebbero un “tagliando” per l’adesione leghista solo dopo le elezioni nel Paese del prossimo autunno, per evitare che un’associazione diretta tra gli ex alleati di Afd e il centro cristiano-moderato possa essere un boomerang nei sondaggi.

Ma dato che negli scorsi anni Salvini non è stato in grado di creare quella “Lega delle Leghe” alleandosi con partiti ben radicati al governo dei propri Paesi come gli ungheresi di Fidesz, il partito di Viktor Orbano i conservatori polacchi del PiS, rimasti rispettivamente nel Ppe e nel gruppo dei conservatori, la Lega ha individuato la via che porta al Ppe come l’unica strada per rafforzare la sua impronta di formazione di governo che il sostegno a Draghi vuole certificare. E per assecondare i desiderata di quello che il cuore pulsante del leghismo, stanziato tra Lombardia e Veneto, chiede a gran voce: un’attestazione del fatto che neanche la svolta nazionale di Salvini ha potuto cambiare i connotati e il Dna del Carroccio in via definitiva. E ora il segretario leghista dovrà ben definire i suoi obiettivi: la svolta “sovranista” della Lega ha sicuramente colto alcuni limiti dei legami tra il costrutto dell’Ue e il sistema-Paese italiano, ma non ha saputo completare con una nuova costruzione politica la sua azione. Saprà il Carroccio “realista” e pragmatico andare oltre questi limiti? Dalla risposta a questa domanda  e ai timori del Nord produttivo e industriale si gioca il suo futuro politico nell’era Draghi e oltre.

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