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L’ultimo lancio missilistico di Kim Jong-un ha di nuovo fatto piombare la penisola coreana nel rischio di un ulteriore innalzamento della tensione, con l’aumento della possibilità che si possa giungere a un’escalation militare dai difficili contorni. La provocazione del regime nordcoreano s’inserisce all’interno della tipica politica di Pyongyang volta a provocare sapendo di non poter essere messa a rischio di un conflitto. La deterrenza nucleare, in fondo, serve proprio a consolidare la certezza che una guerra non possa avvenire a meno che non si voglia rischiare di mettere a repentaglio di la vita di milioni di persone potenziali vittime di testate atomiche. Il lancio non era qualcosa di totalmente inatteso: già da settimane, l’intelligence di Seul aveva dato l’allarme sulla possibilità che Kim decidesse il lancio di un nuovo missile come risposta alle sanzioni imposte dalla comunità internazionale. Non è stato quindi un test completamente inaspettato, ma questo non ha comunque evitato di destare preoccupazione e sentimenti di rivalsa su tutti i vicini della Corea del Nord, che cominciano a essere stanchi delle prove balistiche e della minaccia di una guerra.

Non deve dunque sorprendere che il test di Kim abbia ricevuto da parte dei vicini una condanna con parole decisamente più forti rispetto a quella delle altre volte. Segno che qualcosa sta cambiando nel panorama politico internazionale, e che la politica di provocazione messa in atto dal regime di Pyongyang rischia di essere un pericolo per la stessa sopravvivenza del regime. Il presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, ha assicurato ai giornalisti che il suo Paese ha tutte le capacità di annientare la Corea del Nord, distruggendola “in modo irrecuperabile”. Parole molto dure che confermano come la visione del governo di Seul stia cambiando, con la scelta che si orienta sempre di più verso un irrigidimento delle proprie posizioni, nonostante il mantenimento della volontà di giungere a una soluzione diplomatica. “In situazioni come questa, il dialogo è impossibile. Sanzioni internazionali e pressioni spingeranno ancora di più la Corea del Nord a scegliere null’altro che la sua uscita dal percorso di un dialogo sincero”, ha dichiarato il presidente sudcoreano. E a conferma di quanto detto dal Moon Jae-in, l’esercito della Corea del Sud ha testato due missili balistici Hyunmoo-2 appena sei minuti dopo il lancio di quello da parte di Pyongyang. Uno dei due missili ha colpito con precisione il suo bersaglio nel Mar del Giappone; l’altro missile è precipitato poco dopo il lancio, fallendo il test. Secondo quanto riferito dal ministero della Difesa della Corea del Sud, i test sono stati condotti durante il volo del missile lanciato da Kim per dimostrare la capacità di reazione delle forze armate di Seul in caso di attacco.





Il Giappone, Paese sorvolato dal missile lanciato dal governo nordcoreano, ha riposto duramente al test balistico di Kim, ma senza muovere le forze armate. Il premier Abe si è limitato a dire che il Paese non potrà tollerare le “pericolose azioni provocatorie che minacciano la pace del mondo”. Le parole di Abe sono state comunque imperniate su una latente speranza che possa ricostruirsi una piattaforma di dialogo con il regime di Kim Jong-un. Il premier giapponese ha infatti voluto concludere con la dichiarazione che “se la Corea del Nord continuerà su questa strada non avrà un brillante futuro. Dobbiamo farglielo capire”. Messaggio che esprime condanna per le provocazioni, ma, allo stesso tempo, comprensione della necessità di una via di soluzione pacifica.

Anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, è intervenuta sul nuovo test missilistico della Corea del Nord, confermando che non si tratti più di un problema esclusivamente legato al mondo diplomatico né alle forze dell’estremo Oriente. Il leader dell’Alleanza atlantica ha chiesto “una risposta mondiale” al test missilistico nordcoreano, che considera una “violazione temeraria delle risoluzioni dell’Onu”. Per Stoltenberg, il missile che ha sorvolato l’isola di Hokkaido è “un’importante minaccia contro la pace e la sicurezza internazionale e chiede una risposta mondiale”.

Sembra, dunque, che questa volta, la risposta della comunità internazionale sia stata più dura. Le altre volte, il concetto espresso da tutti è stato quello di evitare la possibilità di un conflitto. Oggi, invece, la Corea del Sud parla di annientamento della Corea del Nord e la Nato parla di risposta mondiale alla minaccia. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito d’emergenza, su richiesta del ministro degli Esteri giapponese, Taro Kono, con il supporto di Tillerson ed ha nuovamente condannato le azioni di Kim. Nel comunicato, si legge: “Il Consiglio di sicurezza ha sottolineato che queste azioni non rappresentano solo una minaccia per la regione, ma a tutti gli Stati membri dell’Onu”. Un allargamento della minaccia dunque, che non sembra più essere vista come una questione regionale, ma un tema su uci tutto il mondo deve intervenire. Trump ha ricordato che la prima scelta è la via diplomatica, ma ha poi aggiunto che è fiducioso nel fatto che le opzioni contro questa minaccia siano “effettive e travolgenti”. 

 

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