Queste ultime settimane sono state segnate dalle tensioni, sempre più percettibili, tra la Casa Bianca e il Pentagono rispetto alla strategia da adottare nei confronti della Corea del NordCome riportato dal New York Times, infatti, la Casa Bianca ha cominciato a mostrare evidenti segni di insofferenza nel confronti del Pentagono per la riluttanza a fornire al presidente Donald Trump opzioni per un attacco militare contro Pyongyang.

Se il generale McMaster, consulente per la sicurezza nazionale, ritiene che i moniti di Trump alla Corea del Nord per essere credibili debbano essere sostenuti da solidi piani militari, per il Pentagono la Casa Bianca si sta muovendo in maniera frettolosa e un attacco militare alla Penisola coreana potrebbe avere conseguenze catastrofiche. Tali tensioni si sono dunque riservate sulla scena pubblica, benché la realtà sia più complessa e sfumata.

Cosa sta succedendo tra pentagono e Casa Bianca?

A fornire una delucidazione sulle recenti diatribe interne all’amministrazione Usa è un articolo pubblicato su Foreign Affairs, l’autorevole rivista statunitense a cura del Council on Foreign Relations: “L’apparente rifiuto del Pentagono di consegnare i piani militari richiesti dalla Casa Bianca molto probabilmente derivava da una serie di fattori estranei ai sentimenti del Dipartimento della Difesa verso il presidente o verso la sua politica estera”, osservano Julianne Smith e Loren DeJonge Schulman.

In questo caso, spiegano i due analisti americani, “i parametri fissati dalla Casa Bianca, ovvero basso rischio per le forze statunitensi, per la Corea del Sud e nel provocare una risposta della Corea del Nord, ma alti danni al programma nucleare di Pyongyang – potrebbero essere stati semplicemente insostenibili. Dopotutto, non esiste un’opzione che contempli un attacco chirurgico efficace verso la la Corea del Nord che possa infliggere in modo affidabile danni determinanti alle strutture militari senza provocare ritorsioni devastanti”.

Nsc e Pentagono, una conflittualità storica

Le frizioni tra il Consiglio di sicurezza nazionale (Nsc) e Pentagono sono emerse più volte in quasi tutte le amministrazioni americane, soprattutto quando si parla di pianificazione militare. Le agenzie hanno ruoli diversi nello sviluppo di opzioni militari ma, come sottolineano Smith e Schulman, “nessuna delle due fa la sua parte come l’altra vorrebbe”.

Per esempio, quando il presidente Barack Obama chiese al Pentagono di delineare un potenziale piano di intervento in Siria durante le prime fasi del conflitto, ricevette solo una proposta, e non era quella che speravano lui o il suo staff: Obama sperava di avere un piano con un rischio minimo per il personale statunitense ma il Pentagono era di ben altro avviso. “Il problema – affermano i due esperti su Foreign Affairs – non è la tensione tra Nsc e Pentagono. Il punto è che la Casa Bianca non ha una strategia in merito alla Corea del Nord o ne cambia i parametri ogni giorno. Se si è seduti nel Dipartimento di Stato, a Seul, o a Pyongyang, è difficile sapere cosa la Casa Bianca voglia realmente”. 

Dopotutto il Pentagono esprime una posizione realistica: non c’è attacco preventivo o limitato che possa essere veramente efficace e che scongiuri in modo inequivocabile una reazione devastante di Kim Jong-un: qualsiasi tipo di attacco militare contro Pyongyang metterebbe in serio pericolo gli alleati degli Stati Uniti nella regione e questo gli Usa non possono permetterselo. 

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