Nell’antichità durante le olimpiadi tra i partecipanti vigeva la “pace olimpica” ovvero la cessazione delle eventuali ostilità per il periodo dei giochi. Con il nuovo anno la Corea del Nord sembra aver aperto uno spiraglio di dialogo che ricorda molto questa consuetudine, andata persa in epoca moderna, quando Kim Jong-un ha ordinato di riaprire il canale di comunicazione tra le due Coree chiuso da ormai un biennio.

L’occasione è stata data dall’approssimarsi delle olimpiadi invernali che si terranno a Pyeong Chang, località della Corea del Sud non molto lontana dal 38esimo parallelo, a cui Pyongyang ha fatto sapere che intenderebbe partecipare con una propria delegazione di atleti.





La storia ci racconta di alcuni antecedenti di “dialogo olimpico” tra le due nazioni: già nelle edizioni del 2000 a Sydney, del 2004 ad Atene e del 2006 a Torino, Seul e Pyongyang marciarono unite alla cerimonia di apertura pur gareggiando separatamente. Da qualche anno, però, il giovane leader nordcoreano sta mantenendo la linea dura, pertanto questo gesto rappresenta una novità di rilievo nella condotta politica internazionale della Corea del Nord.

Una novità non del tutto inaspettata, tuttavia, se consideriamo globalmente la posizione di Pyongyang alla luce dei recenti successi missilistici e soprattutto considerando quella che è la filosofia del Regime.

La Corea del Nord ha da sempre innalzato il livello della tensione internazionale in ogni modo per cercare di strappare condizioni più favorevoli al tavolo delle trattative: è quanto faceva già Kim Il-sung e successivamente continuato da Kim Jong-il e, inizialmente, anche da Kim Jong-un.

Alzare la posta in gioco per strappare qualche migliaio di tonnellate di grano o petrolio era l’unico modo per la Corea del Nord di non collassare sotto il peso delle sanzioni che hanno portato, almeno in una occasione, il Paese sull’orlo della carestia. Qualcosa però è cambiato di recente, ed il nuovo giovane leader ha innalzato bruscamente l’asticella della tensione internazionale. Questo cambiamento è dovuto ad una semplice considerazione fatta dal regime: l’unica garanzia di sopravvivenza per esso stesso e per la Corea del Nord, visti gli interventi americani che hanno portato al rovesciamento di Gheddafi, di Saddam Hussein ed al tentativo di rovesciare al-Assad, è quella di dotarsi di un arsenale atomico efficace ed in grado di colpire direttamente gli Usa. A Kim Jong-un non è di certo sfuggito che la pubblica rinuncia a dotarsi di armi atomiche in via definitiva da parte della Libia del Colonnello Gheddafi – era il 2003 – ha poi portato al suo rovesciamento; ed il tentativo di sovvertire il regime siriano è stato, in questo senso, la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Certo, si tratta di realtà molto diverse da quella della Corea del Nord: nazioni che hanno un tessuto sociale complesso, frammentato etnicamente e religiosamente e per questo terreno fertile per possibili infiltrazioni che facessero scoppiare una “guerra asimmetrica”. Totalmente l’opposto rispetto al blocco monolitico della società nordcoreana, praticamente impenetrabile, però quello che si teme(va) a Pyongyang era un’invasione militare su vasta scala. Da qui la necessità di dotarsi di un arsenale missilistico rispettabile.

Abbiamo più volte dimostrato che Pyongyang ha fatto un balzo in avanti gigantesco nella tecnologia missilistica e nucleare sotto il regime di Kim con lanci missilistici e test atomici aumentati esponenzialmente rispetto agli anni di “regno” di suo padre, Kim Jong-il.

In particolare la Corea del Nord ha messo in atto una sorta di “botta e risposta” con l’Onu, gli Usa ed i suoi alleati effettuando lanci missilistici in risposta all’elevazione di nuove sanzioni o per salutare esercitazioni militari nell’area: quella che abbiamo definito “la diplomazia dei missili”. Perché i vari lanci a cui abbiamo assistito nell’ultimo biennio non sono stati solo test, bensì delle vere e proprie esercitazioni a fuoco che hanno rappresentato una nuova forma di dialogo tra Stati; tra Pyongyang e Washington, tra la Corea del Nord e l’Onu.

Ora sembra che dalla “diplomazia dei missili” si sia passati alla “diplomazia dello sport”, ovvero, volendo essere ottimisti, si sia aperto uno spiraglio nel muro d’acciaio eretto da Kim Jong-un in questi anni. Perché proprio ora abbia fatto questa mossa è presto detto: il regime, soprattutto dopo il lancio del primo ICBM in grado di colpire tutto il territorio degli Stati Uniti continentali, comincia a sentirsi al sicuro, anche al netto delle sparate di propagande sulle dimensioni dei vari bottoni nucleari. Pertanto ripercorrere la via del dialogo con Seul, bruscamente interrotta qualche anno fa nonostante i grandi passi avanti fatti negli ultimi due decenni, rappresenta la naturale scelta per un Paese che crede ancora fermamente che la penisola coreana debba essere riunificata con il ritorno in seno alla madrepatria di Seul. Ora che il regime si sente più al sicuro offre al Sud il ramoscello di ulivo “olimpico” anche e soprattutto per cercare di riprendere la strada cominciata nel 2007 quando erano stato stretto un accordo di pace in otto punti che prevedeva, oltre alla cooperazione economica, accordi per collegamenti aerei, stradali e ferroviari (questi ultimi fondamentali per Seul data la posizione geografica). Dimostrarsi accondiscendenti e aperti verso il proprio vicino – benché continui ad essere fondamentalmente un nemico – è anche un modo di cercare di allontanare Seul da Washington, sebbene questa eventualità sia più un desiderata del regime che una reale possibilità.

Gli stessi Stati Uniti hanno messo in guardia Seul – ed il resto del mondo – dalle reali intenzioni di Pyongyang. Il comandante generale delle Forze Armate Usa in Corea (USFK), il Gen. Vincent K. Brooks, ha infatti sottolineato mercoledì come l’apertura alla pace della Corea del Nord sia una illusione volta a separare i contendenti – Cina, Usa, Russia, Corea del Sud e Giappone – per ottenere il riconoscimento del proprio status di potenza nucleare. “E’ importante che Sud Corea e Us mantengano un’alleanza di ferro” sono state le parole esatte del Generale, subito ribadite anche dal dicastero degli Esteri di Seul che ha fatto immediatamente sapere che la Corea del Sud manterrà un intimo coordinamento con gli Stati Uniti nella ricerca del dialogo con la Corea del Nord, aggiungendo che il dialogo tra le due Coree non sarà separato dagli sforzi degli Alleati per la denuclearizzazione.

Insomma sembra proprio che Seul – e Washington – almeno a prima vista non si siano fatte abbindolare dalla proposta di Kim, resterà però da vedere come evolverà la filosofia del regime nordcoreano in considerazione delle ultime esternazioni americane e sudcoreane: non è escluso che, nonostante segnali di disgelo siano arrivati anche da parte alleata con la sospensione delle esercitazioni militari durante i giochi, Pyongyang ritorni sui suoi passi e riprenda la via della “diplomazia dei missili”.  

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