Le ultime vicissitudini che hanno coinvolto l’intelligence italiana, dalle nomine che hanno rinnovato i vertici ai casi dell’arresto di Walter Biot e del pensionamento “preventivo” dello 007 Marco Mancini, hanno ulteriormente reso impellente la necessità di sbloccare lo stallo che coinvolge l’attività del Copasir. Rallentato nella sua operatività dal fatto che la battaglia sulla presidenza, che la Lega non ha fino ad ora concesso a Fratelli d’Italia cui spetterebbe ex lege, sta portando a un’impasse politica.

Stallo questo che è necessario, ora più che mai, rompere per riportare il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica all’operatività ordinaria, al ruolo di prima linea di difesa degli asset strategici, garante della corretta operatività dei servizi e tutela del ruolo dell’intelligence come patrimonio comune della Repubblica al di là dei colori politici di maggioranza e opposizione cui lo ha destinato la Legge 124 del 2007.

Nella giornata del 4 giugno i presidenti della Camera e del Senato, Roberto Fico e Elisabetta Casellati, hanno invertito un loro parere e una loro presa di posizione degli scorsi mesi, in cui sostenevano che il Comitato potesse operare nel rispetto della legge anche con la presidenza in mano al leghista Raffaele Volpi, affermando che le successive dimissioni dello stesso Volpi e del compagno di partito, Paolo Arrigoni, dal Copasir sopravvenute dopo le defizioni di Adolfo Urso (Fdi) e Elio Vito (Forza Italia) e l’abbandono dei lavori da parte di M5S e Pd non sono da ritenersi valide. Il motivo sta nella mancata indicazione di due membri sostituti.

Fico e Casellati respingono al mittente le dimissioni di Volpi e Arrigoni e in una lettera inviata ai presidenti del Gruppo Lega – Salvini Premier del Senato e della Camera, Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari, sostengono che esse “restano prive di efficacia e non potranno costituire impedimento alla convocazione dell’organo ai fini dell’elezione del nuovo presidente”. In sostanza, Fico e Casellati hanno sottolineato che sono da ritenersi valide e aventi efficacia le dimissioni di Volpi da presidente, non quelle del deputato bresciano e di Arrigoni da membri effettivi del Comitato. Matteo Salvini e lo stesso Volpi avevano proposto un azzeramento del Copasir che potesse garantire una ricomposizione ex novo del suo team, e in questo caso metà dei membri (5 su 10) sarebbero spettati al partito di Giorgia Meloni in quanto unico titolare di un gruppo alla Camera e al Senato schierato all’opposizione, mentre per Fdi riguardava solamente la questione della Presidenza del Comitato e non anche quella della sua composizione paritetica.

I presidenti delle Camere hanno accolto la visione di Fratelli d’Italia e chiamato a uno sblocco dell’impasse. Dall’inizio del governo di Mario Draghi il Copasir è sostanzialmente costretto a un’operatività a bassissima frequenza e il suo ritorno al corretto funzionamento è fondamentale per riabilitare il presidio dell’interesse nazionale rappresentato dallo scrutinio del comitato di Palazzo San Macuto sulle minacce economiche, terroristiche, politiche e securitarie al sistema-Paese. Logico che ora siano proprio la Lega e Fdi le forze maggiormente interessate a una rapida conclusione della vicenda. Il Carroccio per proseguire sulla strada della responsabilità istituzionale e per non logorare la centralità acquisita con la partecipazione al governo Draghi e disperdere il valore dei lavori del Copasir che proprio nella presidenza Volpi hanno ampliato le basi poste dal predecessore, l’attuale ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Fdi per rafforzare la sua presenza nelle istituzioniconsolidarsi come forza in grado di maneggiare dossier legati all’interesse nazionale italiano e poter trovare un altro punto fondamentale di contatto e dialogo con un governo alla cui opposizione si è posto in forma pragmatica.

Inoltre, i due partiti-guida del centro-destra possono e devono dare la dimostrazione di saper collaborare oltre l’aritmetica sommatoria dei voti che, ad ora, darebbe loro buone possibilità di ascendere assieme al governo in caso di future elezioni. “Se non ti fidi del tuo alleato finisci per giocare da solo”, ha sottolineato Vittorio Macioce nelle scorse settimane su Il Giornale. “Non costruisci. Non ti riconosci. Non sei in grado di immaginare un futuro insieme. Quello che resta è un comitato elettorale, qualcosa che forse ti consente di vincere le elezioni, ma non di governare”. Macioce ha colto il punto attorno a cui ruota la questione: è una prova di maturità della capacità della nuova coalizione di centro-destra di essere forza di rottura nel Paese. La Lega può contribuire all’obiettivo di Draghi di riportare alla tranquilla operatività i servizi avviato con le nomine di Franco Gabrielli e Elisabetta Belloni, Fdi acquisire gli spazi e la visibilità interna e internazionale che la direzione di un comitato tanto strategico comporta. Entrambi devono intestarsi la soluzione di una crisi che dura da tempo: la palla è nelle loro mani, e mai quanto ora la collaborazione appare l’arma più utile.

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