Qual è stato il prezzo per la liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo? Per rispondere a questa domanda, che da giovedì attanaglia l’opinione pubblica, basta guardare il video mostrato poche ore dopo la scarcerazione dei marinai italiani dai canali mediatici di Khalifa Haftar. Nelle immagini si nota una vera e propria cerimonia di accoglienza, con tanto di tappeto steso lungo una pista aeroportuale e un plotone di soldati schierati pronti ad accogliere gli ospiti. Poco dopo da un aereo scendono Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. I due sono atterrati nella base posta a 15 km da Bengasi che ospita il quartier generale di Haftar. Era proprio questo l’obiettivo del generale: portare i massimi rappresentanti italiani fino a casa sua e far vedere ai suoi diretti rivali che lui, dopo tutto, conta ancora qualcosa.
Uno spot per Haftar
L’uomo forte della Cirenaica a giugno ha dovuto lasciare Tripoli. Qui per più di un anno con il suo Libyan National Army ha provato a entrare fin dentro la capitale per spodestare il governo riconosciuto dall’Onu (e dall’Italia) retto dal premier Fayez Al Sarraj. Un azzardo, quello di Haftar, che non ha pagato: lui si è avventurato a Tripoli forte del controllo dell’est e del sud del Paese, ma non aveva fatto i conti con la miriade di milizie legate a Misurata e al governo. Poi a fine 2019 sono arrivati anche i turchi con i loro mercenari siriani prelevati da Idlib e a quel punto per il generale l’avventura tripolina è giunta al capolinea. Una sconfitta militare che si è rivelata anche politica. Nessuno, nemmeno tra i suoi alleati, ha dato ad Haftar la considerazione di cui godeva prima. L’Egitto ha puntato sul presidente del parlamento Aguila Saleh, la Russia ha raffreddato i rapporti con il generale, forse soltanto dagli Emirati Arabi Uniti è giunto un certo sostegno. Il primo settembre scorso, giorno del sequestro dei pescherecci italiani, Luigi Di Maio ha incontrato Al Sarraj e Saleh mentre ha “saltato” la tappa del quartier generale di Haftar.
Avendo in mano 18 marinai di due pescherecci siciliani, a quel punto il leader dell’Lna voleva ottenere soltanto una cosa: dimostrare in Libia e all’estero che ancora era tra gli attori protagonisti. Per farlo aveva bisogno di uno spot. Quale migliore occasione che mettere drappi, bandiere e bande mentre Conte e Di Maio scendevano dall’aereo atterrato a pochi passi dal suo quartier generale. Sapeva molto bene che l’Italia non poteva permettersi di avere propri cittadini a Bengasi anche per il periodo natalizio. Il presidente del consiglio e il ministro degli Esteri, alla fine hanno accettato di recitare la parte e diventare protagonisti dello spot propagandistico di Haftar.
Le incognite sulla futura strategia italiana
Il generale non ha tralasciato alcun dettaglio. Nel suo quartier generale tutto è stato addobbato come per qualsiasi altra cerimonia di accoglienza di leader stranieri. Con tanto di telecamere che hanno seguito passo dopo passo la toccata e fuga di Conte e Di Maio. Uno “spettacolo” in cui non è mancato nulla: dal plotone di accoglienza dei soldati davanti l’aereo, fino agli inni fatti risuonare a bordo pista, passando poi per gli incontri tenuti dentro il quartier generale. Strette di mano, bandiere italiane e libiche in sale adibite a festa, lo stesso generale all’ingresso della sua caserma che attende solitario l’arrivo dei due ospiti italiani. Le immagini hanno immortalato, secondo poi la propaganda messa in moto dall’Lna, la sua vittoria e la sua perfetta espressione di potenza.
Nell’incontro, hanno fatto sapere da Bengasi, non si è parlato molto dei pescatori. E questo è un altro dettaglio non indifferente. Perché ha fatto apparire la giornata libica di Conte e Di Maio non come un “blitz” per riportare a casa i marinai, bensì come una qualunque visita di Stato a casa di un leader internazionale. Haftar li ha ricevuti come capi di governo e certamente il presidente del consiglio e il ministro degli Esteri italiano lo sono. Ma agli occhi di Roma, Haftar non è né un capo militare e né tanto meno politico. I rapporti stretti con lui in passato erano “confidenziali” o al massimo informali per portare avanti il dialogo con tutte le parti chiamate in causa in Libia. Ma il nostro governo riconosce ufficialmente soltanto le autorità che hanno sede a Tripoli. Occorrerà adesso vedere in che modo dalla capitale libica prenderanno il fatto che rappresentanti istituzionali italiani sono andati in visita, con tanto di fanfare all’arrivo, nel quartier generale di Haftar.
Lo spot dell’uomo forte della Cirenaica potrebbe costare caro al nostro Paese. In tutto questo l’unico elemento positivo arriva, paradossalmente, dalla pomposità dello spettacolo allestito da Haftar: evidentemente, nonostante l’Italia sia stata ricattata, in Libia farsi vedere in compagnia di rappresentanti italiani conta ancora qualcosa.