La decisione del sindaco di Milano Giuseppe Sala, vicino al Partito democratico ma mai tesserato al suo interno, di iscriversi al partito europeo dei Verdi è importante per diversi motivi.
In primo luogo, rappresenta il primo vero atto squisitamente politico di un amministratore fino ad ora contraddistinto da uno stile “manageriale“, in linea con il suo percorso professionale che lo ha portato ad essere Cfo di Tim, direttore generale dell’amministrazione comunale meneghina ai tempi di Letizia Moratti, presidente di A2A e amministratore delegato di Expo 2015 prima dell’elezione a sindaco nel 2016. Sala, dall’osservatorio privilegiato di una metropoli ben agganciata alle tendenze e agli stili di vita delle altre grandi città comunitarie, ha colto in anticipo rispetto al resto del Partito democratico le tendenze che si stanno aprendo nel campo progressista internazionale: esiste una domanda politica, in seno a tale universo, che il centrosinistra tradizionale non è più in grado di soddisfare, avendo perso buona parte delle sue coordinate politiche, e che gli ambientalisti puntano a intercettare.
L’ascesa dei Verdi tedeschi e francesi
In secondo luogo, segnala una cesura all’interno della stessa coalizione dominante nell’elettorato urbano dei Paesi ad alto tasso di sviluppo in Europa. Di fronte alla crescente polarizzazione tra centro e periferia che la democrazia europea ha più volte presentato negli ultimi anni, il movimento ambientalista ha in diversi Paesi acquisito rilevanza proprio a scapito del centrosinistra tradizionale.
In Germania Alleanza 90/I Verdi è assurto al ruolo di principale contendente politico della Cdu di Angela Merkel, che starebbe studiando un’alleanza organica per il post-elezioni di settembre; in Francia alle elezioni municipali di giugno sono stati gli ecologisti di Europe Écologie Les Verts (Eelv)a conquistare la scena, sbancando le elezioni comunali di Marsiglia, Lione e Bordeaux e conquistando le poltrone da sindaco e un trampolino di lancio per il loro leader, Yannick Jadot, nella corsa all’Eliseo del 2022.
In entrambi i casi i consensi sono stati sottratti ai partiti del centro e del centrosinistra tradizionale grazie a una svolta politica non indifferente rispetto all’ecologismo tradizionale: i Verdi odierni, in Francia e Germania, sono formazioni schierate nel campo progressista, liberali su diverse sfaccettature economiche e sociali, attenti al paradigma della sostenibilità come fattore trasversale alla loro visione del mondo e non più concentrati sulle battaglie monotematiche dei vecchi ecologisti.
Jadot, ad esempio, è stato relatore della proposta europea di una Carbon Border Tax, mentre i Verdi tedeschi hanno più volte attaccato le imprese tedesche che delocalizzano nelle regioni cinesi ove avviene la repressione degli uiguri, segnalando in entrambi i casi anche una concezione “geopolitica” orientata al sostegno all’atlantismo e agli Stati Uniti d’America. L’effetto Greta Thunberg, dunque, c’entra fino a un certo punto nell’ascesa di queste formazioni.
Un nuovo riferimento progressista?
Il terzo punto è legato a una questione di “marketing politico“. Il centrosinistra tradizionale è andato in corto circuito, in diversi casi, proprio perché incapace di tenere assieme una retorica e un richiamo alla sua tradizione politica che partivano dalle parole d’ordine tradizionali, partendo dalla difesa del lavoro e della sicurezza economica degli emarginati, e una realtà dei fatti che la vedeva entusiasta sostenitrice della globalizzazione, delle delocalizzazioni produttive, della “cosmesi” dei diritti civili a scapito di quelli sociali.
In un certo senso, mosse come quelle di Sala sono comprensibili perché non ipocrite: Sala viene da tutt’altra esperienza e, in una fase in cui l’elettorato popolare, le classi lavoratrici e i ceti medi sono passati al sostegno di altre formazioni (in Italia nel voto politico del 2018 in particolare Lega e Movimento Cinque Stelle) ha colto probabilmente la percezione del fatto che i nuovi riferimenti elettorali dei progressisti, ovvero l’elettorato urbano ad alto tasso di scolarizzazione e reddito, gradiscono di fatto maggiormente i temi dell’inclusività civile e dell’ambiente rispetto a una retorica distaccata dalla realtà.
I limiti dell’ecologismo italiano
Alexandra Geese, eurodeputata tedesca dei Verdi, non a caso ha salutato l’ingresso di Sala nella formazione come un passaggio decisivo verso la nascita di quello che ritiene un “ambientalismo del Sì” anche in Italia dialogando con Formiche. Lasciando da parte alcune singole figure di spicco (la vicepresidente della Regione Emilia Romagna Elly Schlein e l’ex presidente di Legambiente Rossella Muroni, eletta alla camera nel 2018 con LeU) l’ambientalismo italiano non ha oggi un ruolo politico primario, per quanto molte delle sue battaglie (invero spesso le più manichee e discutibili, come quella delle trivelle) siano state interiorizzate dal Movimento Cinque Stelle nella sua fase di crescita a prima forza politica nazionale.
Sala ha colto sicuramente che esistono spazi politici per costruire un polo ambientalista liberale – vicino alla visione di Eelv e Alleanza 90 – anche nel nostro Paese. E una città ad alto tasso di sviluppo come Milano è forse un laboratorio assai recettivo per tale proposta. Da testare alla prova con quell’ecologismo pragmatico di cui, su questioni come il nucleare e il ruolo di combustibili come il gas naturale nel mix energetico futuro, anche i nuovi Verdi non sono stati, in diversi casi, capaci e che il governo Draghi mira a implementare con il nuovo ministero per la Transizione ecologica guidato da Roberto Cingolani.
Se il sindaco meneghino vorrà proseguire questo suo esperimento politico lontano dall’accampamento del Partito democratico, sarà proprio questa formazione a dover temere maggiormente per la sua base di consensi qualora qualcosa di simile alle formazioni verdi tedesche e francesi nascesse anche in Italia. I destini dei socialisti francesi e dell’Spd, ridotti in questi anni ai minimi storici nei sondaggi e nei risultati elettorali, sono in tal senso istruttivi.