Il mantenimento di una forza armata di notevoli dimensioni è spesso una delle principali cause dell’indebitamento degli Stati contemporanei. Prendendo per esempio i casi di Pakistan e Corea del Nord, si può comprendere come l’esercito possa assorbire quasi per intero il gettito erariale, costringendo la gestione politica a diminuire le risorse indirizzate ai servizi pubblici e all’istruzione. Tutto questo risulta ancora più vero per gli Stati Uniti d’America.
Trump ed il “perdono”di Erdogan
Dopo il voltafaccia internazionale alla popolazione curda, usata per anni per arginare lo Stato islamico, gli Stati Uniti hanno rincarato il colpo aprendo le porte ad un accordo commerciale per la vendita di velivoli militari ad Ankara. Intimorito dalla possibilità che Recep Tayyip Erdogan acquistasse gli armamenti prodotti dalla Russia di Vladimir Putin, Trump non ha esitato nemmeno un secondo a fare una rapida marcia indietro, smorzando i toni internazionali contro Ankara. La possibilità di perdere un affare da miliardi di dollari ha reso la scelta, se non obbligata, di facile decisione. Pace fatta e questione curda passata in cavalleria: identico modus operandi della guerra russo-afghana e della guerra in Iraq del 2003.
“Al Sisi è il mio dittatore preferito”
“Al Sisi è il mio dittatore preferito”: questa frase pronunciata da Donald Trump è stata infelice, se si considera la stretta alle libertà di pensiero e di espressione che, proprio in questo momento, stanno affliggendo l’Egitto. Anche in questo caso gli elogi del presidente Usa si basavano essenzialmente sui soldi, in quanto gli Usa erano appena riusciti a vendere una partita di aerei allo Stato nordafricano. Passare da esportatori della democrazia sotto la segreteria di Condoleezza Rice a sostenitori dei regimi militari sotto Trump sembrerebbe un passo decisamente azzardato, non fosse che, anche durante i governi precedenti (in particolar modo sotto i due mandati di Barack Obama), il traffico di armamenti abbia giocato un ruolo cruciale nei bilanci economici americani. In pratica, l’unica differenza tra repubblicani e democratici è da ricercare solamente nella dialettica presidenziale.
È solo una questione di soldi
Con un esercito permanente stimato attorno al milione e mezzo di unità (una persona su 220), gli Usa possiedono la seconda forza mondiale dopo la Cina, rendendo così il mantenimento delle forze armate il più costoso al mondo. Questo comporta la necessità di dover avere accesso a risorse aggiuntive per la loro gestione, anche grazie alla vendita di tecnologie alle forze alleate (che si trovano così a vivere una sorta di ricatto perpetuo da cui non riusciranno a sottrarsi). La questione delle entrate è dunque di vitale importanza per la politica espansionistica degli Usa e questo anche di più della propria credibilità a livello internazionale per quanto concerne il rispetto delle minoranze soggiogate dai regimi.
Ignorare la storia
La criticità di questo comportamento portano però a due svantaggi: rende difficile allargare il numero di Paesi che scelgono le forniture americane rispetto a quelle russe e cinesi e, soprattutto, crea tensioni con le minoranze, che spesso vengono utilizzate per combattere una guerra e poi vengono abbandonate al proprio destino, proprio come è successo ai curdi in Siria o ai mujaheddin in Afghanistan. Ad oggi, il Pkk ha deciso di rivolgere le proprie armi solamente contro Ankara, ma non è detto che in futuro possa metter nel mirino anche gli ormai ex alleati.