Anche nel bel mezzo del caos post Gheddafi e prima del Covid, lo stadio 11 giugno di Tripoli è stato spesso protagonista del derby tra le due principali squadre di calcio della capitale, l’Al Ahly da un lato e l’Al Hittad dall’altro. Durante le partite è stato sempre possibile striscioni in italiano tra gli spalti esposti da entrambe le tifoserie. Ma anche fuori lo stadio, sono sempre stati diversi gli spettatori con maglie di squadre della nostra Serie A. Un esempio, quello calcistico, utile a far intuire come i libici seguano ancora da vicino le vicende non solo sportive ma in generali sociali e di costume del nostro Paese. Il Soft Power dell’Italia in Libia, nonostante anni contrassegnati da un indietreggiamento dell’influenza italiana, è ancora molto forte. E potrebbe, in futuro, rappresentare per Roma un’arma molto importante.
Il recente caso di Fayez Al Sarraj
Da pochi giorni è entrato in carica un nuovo governo a Tripoli. Abdelhamid Dabaiba ha preso il posto di Fayez Al Sarraj. Quest’ultimo però, premier a partire dal 2016, ha trascorso gli ultimi mesi da capo del governo libico più all’estero che in patria. Con l’avvento del nuovo anno poi, Al Sarraj in molte occasioni è stato segnalato a Roma. Nella capitale avrebbe ricevuto alcune cure mediche. Già da anni si sapeva del fatto che l’ex premier aveva nella città eterna il suo dentista di fiducia. Ma più di recente si sarebbe sottoposto anche a un delicato intervento. Non sono emersi dettagli in tal senso, né da Roma e né da Tripoli. Tuttavia alcuni degli ultimi atti prodotti dal suo governo, sarebbero stati firmati da una stanza di una clinica della nostra capitale. Una circostanza, sotto il profilo politico, da non sottovalutare. Per due motivi: da un lato il “tramonto” dell’ultimo governo libico è passato anche dall’Italia, dall’altro il ricovero di una personalità politica a Roma ha significato quanto ancora i libici guardino al nostro Paese sotto diversi profili.
Soprattutto in Tripolitania, molti cittadini per curarsi hanno come riferimento la sanità italiana. Un discorso che vale anche sul fronte studentesco: chi può, il più delle volte, prova a studiare medicina nelle nostre università. La vicenda che ha riguardato la salute di Al Sarraj, per via del ruolo rivestito in quel momento dall’ex premier, è andata oltre l’aspetto prettamente personale. Nel frattempo anche a Roma si è verificato un cambio di guardia nella guida dell’esecutivo. Il governo di Mario Draghi, chiamato a breve a decidere quale linea tenere in politica estera e soprattutto a riguardo del delicato dossier libico, deve tenere conto anche di questo: l’Italia, al netto dell’indietreggiamento a favore di altri attori sotto il profilo politico, in Libia può ancora far presa con il suo Soft Power.
L’italiano insegnato nelle scuole
L’influenza italiana nel Paese nordafricano passa anche dall’aspetto culturale. Non è un caso se pochi mesi fa a Tripoli è stata presa la decisione di insegnare la nostra lingua nelle scuole. A dicembre, in particolare, l’incaricato d’affari dell’ambasciata d’Italia a Tripoli, Walter Di Martino, e l’allora Ministro dell’istruzione del governo libico, Mohamed Emari Zayed, hanno firmato l’intesa per la formazione di docenti e professori. Un passo propedeutico all’introduzione dei corsi di lingua italiana nelle scuole secondarie della Libia. Altro segno dell’importanza culturale ancora rivestita dal nostro Paese. L’intesa è arrivata in un momento molto delicato per la conoscenza della lingua di Dante all’interno del territorio libico.
Dopo essere stato per anni usato al fianco dell’arabo per via dell’eredità coloniale, l’italiano oggi è parlato o quanto meno ricordato soprattutto dai più anziani. I giovani hanno incontrato la nostra lingua sulla rete, tra i video delle partite di calcio seguite o tra le immagini di altri eventi diffusi via social. Ma difficilmente hanno una conoscenza approfondita. Adesso il discorso potrebbe cambiare e dare nelle mani del governo Draghi un altro elemento in grado di spiegare l’importanza di non perdere mai di vista l’intricato dossier libico. Perché, come evidenziato dai recenti casi, sono gli stessi libici a non volere l’Italia del tutto fuori dal loro Paese.