In un periodo in cui ci sono difficoltà di approvvigionamento e i prezzi si alzano, Joe Biden si fa amico della grande distribuzione. Nello scorso Cyber Monday, il lunedì successivo al ben più noto “Black Friday”, Biden ha messo attorno a un tavolo gli amministratori delegati di Best Buy, Food Lion, Etsy, Walmart, Mattel, Samsung e CVS Health, dunque produttori noti e tutti i giganti della grande distribuzione.

Due le maggiori preoccupazioni del presidente democratico: salvare l’occupazione e risolvere il grave problema del caro-vita, causato anche dai problemi di approvvigionamento. Grande ottimismo da parte di tutti: le vendite hanno raggiunto i livelli pre-pandemici e “meno americani sono ora preoccupati su come mettere il pane in tavola”. La primavera scorsa, invece, Biden aveva caratterizzato la sua amministrazione come protettrice dei piccoli commercianti. Per ricompensarli dei lunghi periodi di chiusure, aveva riformato ed esteso il Paycheck Protection Program, un equivalente americano dei “ristori” italiani.

La grande distribuzione svolta a sinistra

Le due politiche non apparirebbero in contraddizione. Se Biden stesso non avesse, in un passato recente, contrapposto i piccoli negozi alla grande distribuzione, accusando la seconda di ledere gli interessi dei primi. Nel non lontano 2008, quando Biden sfidava ancora Obama nelle primarie (poi le perse, ma venne recuperato come vicepresidente), arringava i potenziali elettori contro Walmart, tradizionalmente di area repubblicana, accusato dai sindacati di sfruttare i lavoratori. In questi giorni al contrario, appare in ottimi rapporti con l’amministratore delegato della compagnia, Doug McMillon. Nella riunione del Cyber Monday, ha confessato di “passare più tempo nei negozi di Walmart di quanto si creda”, poi si è complimentato con lui, lodando il suo sforzo per non aver fatto mancare nulla agli americani, nemmeno nell’anno più buio della pandemia. E anche per aver ospitato rifugiati afgani dopo la precipitosa ritirata di agosto. Viceversa, anche McMillon approva esplicitamente le politiche di Biden con tweet favorevoli al presidente.

Forse Biden si è convertito al liberismo? Probabilmente no, la causa di questa “conversione” va rintracciata sia nel suo ruolo di presidente, dunque rappresentante di tutti, sia nei finanziamenti delle aziende che gli hanno permesso di arrivare alla Casa Bianca. Proprio a proposito di Walmart, infatti: da tradizionale finanziatore dei Repubblicani, nel 2020 ha equamente distribuito le sue donazioni: quasi 600mila dollari ad ognuno dei due grandi partiti. Nel 2018, sempre Walmart, per ingraziarsi i Democratici, aveva già finanziato sia il caucus nero che quello ispanico. Il lavoro di lobbying ha funzionato e se, in passato, i Democratici non accettavano neppure i finanziamenti della catena di grande distribuzione, oggi la imbarcano nella loro causa. La sinistra del partito avrà sicuramente qualche mal di pancia, ma per ora resta allineata.

Il peso delle big tech

D’altra parte ha già digerito, con nessuna opposizione, anche il grande abbraccio delle più ricche compagnie degli Stati Uniti, le aziende dell’informatica, Big Tech come sono chiamate ormai da un po’ di anni. Per rendersene conto, occorre tracciare le donazioni dei loro fondatori, amministratori e dipendenti. Un fiume di denaro che è andato quasi esclusivamente nelle casse del Partito Democratico, durante la campagna del 2020. Alphabet proprietaria di Google, ha versato complessivamente 21 milioni di dollari nel 2019-20 ai candidati: l’80% ai Dem, solo il 7% ai Repubblicani. Il maggior beneficiario è stato Biden, la cui campagna ha incassato 3,66 milioni di dollari. Il secondo contributo, per dimensioni, è giunto da Microsoft: 17 milioni, di cui solo il 14% ai Repubblicani, il resto ai Democratici (2 milioni a Joe Biden). Anche Amazon ha donato appena il 14% ai Repubblicani, dei suoi quasi 9 milioni di dollari investiti nella campagna elettorale, tutto il resto ai Democratici di cui 1,7 alla campagna di Joe Biden.

Sei milioni di dollari sono stati dati da Facebook, di cui appena il 10% ai Repubblicani e l’80% ai Democratici. Maggior beneficiario, anche qui, è Joe Biden (1,3 milioni). Stessa storia Apple: dei 5,7 milioni donati, l’80% sono andati ai Democratici, solo il 4,3% ai Repubblicani. Netflix: 5,42 milioni donati, gran parte dei quali al comitato elettorale (Pac) dei candidati senatori democratici. Il co-fondatore di Netflix, Reed Hastings, ha dato di tasca sua 2 milioni di dollari allo stesso comitato democratico. Twitter è stato il più “avaro”: appena 689mila dollari, quasi tutti ai Democratici, di cui 157mila alla campagna di Biden. Ed espellere Donald Trump dal social network non ha prezzo.

Innegabile, dunque, la nuova realtà: il Partito Democratico è diventato quello del grande capitale, con buona pace di chi lo considera ancora il protettore dei proletari e della piccola classe media. La trasformazione forse la notano in pochi, attratti dal vestito indossato in una serata di gala dalla deputata Alexandria Ocasio Cortez, quello con la scritta “tax the rich”, tassare i ricchi. Si riferiva alle grandi compagnie, soprattutto le Big Tech, che fanno di tutto per non pagare le tasse negli Usa e, con quel che risparmiano, finanziano il suo partito? I Democratici alla Bernie Sanders si dicono vicini ai lavoratori e ai loro diritti. Ma Walmart, accusata (dalla sinistra stessa) di sottopagare i suoi dipendenti, o Amazon di spremerli sino alla stremo, sono ora accolte come alleate?

La domanda si può anche ribaltare: che interessi hanno questi colossi economici a foraggiare un partito che si ammanta sempre più di una retorica anti-capitalista? L’alleanza fra grande Stato e grande capitale è stata finora una caratteristica più europea che americana. Negli Usa siamo soliti pensare agli imprenditori come ai pionieri della grande industria dell’Ottocento: allo Stato non chiedevano altro che di farsi da parte. Ma tutta la storia recente degli Stati Uniti è invece caratterizzata da periodi più o meno lunghi di capitalismo consociativo: quando il grande capitale si allea con lo Stato, per ottenere favori e protezione. Questa alleanza è particolarmente evidente negli ultimi anni. Considerando che le più grandi aziende controllano l’informazione, oltre che la tecnologia, stanno palesemente orientando le nostre menti a sinistra.