Il 23esimo anniversario del ritorno di Hong Kong alla Cina, i primi arresti dopo l’entrata in vigore della temutissima legge sulla sicurezza nazionale, il rischio di nuovi disordini, la promessa di Joshua Wong e la reazione del resto del mondo. Si apre così questo inizio di luglio, caratterizzato dalla recente approvazione nell’ex colonia britannica della National Security Law.

Una legge, formata da 66 articoli e inserita nella Basic Law, cioè la Legge Fondamentale che regola il rapporto tra Pechino e Hong Kong, che potrà infliggere pene fino all’ergastolo per tutti coloro che saranno ritenuti colpevoli di reati che mettono a repentaglio la sicurezza nazionale. Ovvero: secessione, sovversione, terrorismo e collusione con forze straniere.

Il Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo, vertice dell’organo legislativo del parlamento cinese, ha approvato la legge all’unanimità, mentre Xi Jinping ha posto la sua firma sul documento. Ma, in sostanza, che cosa è cambiato a Hong Kong? La comunità internazionale sostiene che la nuova legge penderà come una sorta di spada di Damocle sulla testa di chi intende trasgredirla nel giudizio di Pechino.

In altre parole il resto del mondo, soprattutto l’Occidente, ha puntato il dito contro l’erosione della libertà e dell’alto grado di autonomia su cui ha sempre potuto contare l’ex colonia britannica, dal suo passaggio alla Repubblica popolare cinese, avvenuto il primo luglio 1997, a oggi. L’impegno preso all’epoca dalle autorità di Pechino includeva il rispetto di alcuni assetti economici e sociali di Hong Kong per un periodo non inferiore ai 50 anni. L’ombra della nuova legge sulla sicurezza nazionale, a detta della comunità internazionale, avrebbe in un certo senso accelerato i tempi.

Caos e arresti

Dal punto di vista prettamente legale e burocratico, la nuova legge ha istituito l’agenzia per la sicurezza nazionale. Tre i suoi compiti fondamentali. Primo: “analizzare e giudicare” la situazione della salvaguardia della sicurezza nazionale a Hong Kong. Secondo: “supervisionare, coordinare e supportare” la regione amministrativa speciale nel mantenimento della sicurezza nazionale. Terzo: “raccogliere e analizzare informazioni di intelligence” e “gestire i reati contro la sicurezza nazionale secondo la legge”.

Oggi, come detto giorno di celebrazioni storiche e dell’entrata in vigore della nuova legge sulla sicurezza, sono state arrestate almeno 70 persone. Quest’anno, per la prima volta, sono state vietate le manifestazioni in favore della democrazia organizzate in occasione dell’anniversario della fine del governo britannico. La decisione è stata ufficialmente presa a causa del divieto di assembramento per il Covid. In realtà, sostiene la Bbc, gli arresti sono stati effettuati per “assembramento illegale in violazione della legge sulla sicurezza, ostruzione alla polizia e possesso di armi”. Fra le persone arrestate, anche un uomo che portava una bandiera pro indipendenza.

“Non ci arrenderemo mai, ha scritto su Twitter l’attivista hongkonghese Joshua Wong. “Siamo in strada per manifestare contro la legge sulla sicurezza nazionale”, ha rincarato la dose il giovane, pubblicando alcune foto delle manifestazioni in corso. “Non ci arrenderemo mai. Ora non è il momento di arrendersi”.

Rischi e possibili scenari futuri

A detta di molti osservatori, la Cina avrebbe messo una museruola a Hong Kong, silenziando ogni possibile forma di dissenso presente all’interno della società hongkonghese. Da ora in avanti sarà infatti vietato organizzare proteste (o peggio rivolte) come quelle scoppiate nel corso dell’ultimo anno. Pena: arresti di massa per aver violato la legge sulla sicurezza nazionale.

Se da una parte Pechino ha intenzione di mettere ordine in uno dei principali hub finanziari del mondo, dall’altra i manifestanti pro democrazia non sembrano avere alcuna intenzione di mollare la presa. Il punto è che un braccio di ferro del genere diluito nel tempo potrebbe comportare tragiche conseguenze, fino alla rottura definitiva tra la Cina e Hong Kong.

Due sono i possibili scenari futuri: o Pechino riesce a placare subito le ire degli attivisti, accompagnando la città in modo “soft” verso una nuova era, oppure il Dragone dovrà usare la forza. Carrie Lam, governatrice di Hong Kong, ha definito la promulgazione della legge un punto di svolta per far uscire la città dall’impasse attuale e ripristinare la stabilità. Nel frattempo il principio “Un Paese, due sistemi” continua a restare in vigore.