Atlantico e Pacifico sono gli oceani in cui sono stati scritti i destini delle due guerre mondiali ed è di nuovo qui, nelle loro acque agitate, che vanno combattendosi le grandi potenze in lotta per l’egemonia globale.

L’Atlantico occidentale è sotto assedio da parte dei principali sfidanti degli Stati Uniti, ovvero Cina, Russia e Iran, che, a differenza del 1917 e del 1942, stanno provando a sfondare l’antemurale della dottrina Monroe, anziché con sottomarini e golpe, con accordi di cooperazione, intese multisettoriali e investimenti.

Il Pacifico occidentale è in subbuglio. Sembra una fotografia degli anni Trenta: una grande potenza in divenire, proveniente dall’Estremo Oriente, vuole mettere in discussione la distribuzione di potere nel Sudest asiatico, snodo fondamentale dei traffici marittimi internazionali, e minaccia il predominio delle sorelle dell’Anglosfera. La posta in palio è il mazzo di chiavi della globalizzazione.

Nel Pacifico occidentale è remake dal sapore novecentesco. Cambiano gli attori e i loro mezzi, ma la trama è più o meno la stessa. Come tra Micronesia, Oceania vicina e Polinesia, dove, dalle Tonga alle Salomone, le guerre sino-americane stanno attirando come un magnete gli attori-chiave dei confini del mondo.

Il ritorno dell’Anglosfera nelle Salomone

L’arcipelago dedicato a re Salomone, che confermando la sempiterna validità del nomen omen è ricco di tesori – dall’oro al nichel –, è uno dei teatri-chiave del paragrafo pacifico della competizione tra grandi potenze. Lo impongono la geostrategia, la geoeconomia e il lato diplomatico della questione Taiwan.

Le Salomone, declassate dagli Stati Uniti nel dopo-guerra fredda ad un’isola che non c’è, sono oggi al centro del mondo. E non potrebbe essere altrimenti: è dai tempi della Weltpolitik di Guglielmo II che, quando la rivalità tra grandi potenze diventa battaglia per la riscrittura del sistema internazionale, gli egemoni emergenti dell’Eurasia provano a sfidare il dominio dei mari delle talassocrazie anglofone negli arcipelaghi più strategici del Pacifico, in particolare Salomone, Tonga, Samoa e Kiribati.



Su pressing degli Stati Uniti, che nel Pacifico come altrove stanno cercando di esternalizzare ai loro alleati parti selezionate della doppia sfida contro Russia e Repubblica Popolare Cinese, Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Regno Unito stanno rivalutando al rialzo l’importanza del fascicolo Salomone all’interno delle loro agende estere.

La Nuova Zelanda, tra aprile e maggio, ha donato 1,9 milioni di dollari alle Salomone per la preparazione dell’incombente edizione dei Giochi Pacifici e ha promesso un’ulteriore donazione nel prossimo futuro, pari a 15 milioni di dollari, per aiutare i governi provinciali dell’arcipelago a combattere gli effetti del cambiamento climatico e ad aumentare la resilienza climatica. A fare da sfondo, l’invio di una corposa delegazione – una cinquantina di persone – tra Salomone e stati arcipelagici del Pacifico meridionale.



Mentre la Nuova Zelanda ha iniziato a scommettere su donazioni e diplomazia climatica per corteggiare le Salomone, Regno Unito e Giappone hanno fatto ingresso nella competizione, sempre nell’ultimo bimestre, portando danari e proposte di collaborazione alla corte di Manasseh Sogavare.

Il capo della diplomazia britannica James Cleverly, nel contesto di un breve ma intenso tour nel Pacifico conteso, avvenuto fra il 19 e il 21 aprile, che lo ha portato alle Salomone, alle Samoa, in Papua Nuova Guinea e in Nuova Zelanda, ha incontrato Sogavare e il suo ministero degli esteri, Jeremiah Manele, annunciando programmi e investimenti per la protezione delle acque oceaniche che circondano l’arcipelago.

Tokyo sbarca a Honiara (di nuovo)

Il Giappone, che è in prima linea nel contenimento della Cina dal Pacifico all’Asia centrale, ha fatto la storia lo scorso marzo: ha mandato il titolare degli Esteri, Yoshimasa Hayashi, in missione alle Salomone. Storia perché si è trattato di un evento senza precedenti, giacché nessun ministro degli esteri giapponese era mai stato nell’arcipelago.

A differenza delle potenze dell’Anglosfera, che finora hanno prediletto l’utilizzo di strumenti morbidi per flirtare con le Salomone e minimizzato il fattore Cina, il Giappone, nella persona di Hayashi, ha esternato le proprie preoccupazioni per l’intesa sino-salomonese e ha discusso con Sogavare di sicurezza regionale e affari globali.

Hayashi ha presentato a Sogavare la nuova strategia del Giappone per un “Indo-Pacifico libero e aperto”, spiegandogli di essere alla ricerca di potenziali partner interessati alla promozione di pace e stabilità. Se Honiara fosse interessata, nel contesto di suddetta strategia, Tokyo sarebbe a disposizione per fornire assistenza nella sfera della sicurezza marittima.

Rassicurando Sogavare sulla questione delle acque reflue radioattive trattate che il Giappone è in procinto di scaricare nel Pacifico, tema molto sentito tra Micronesia, Polinesia e Oceania vicina, Hayashi è tornato in patria augurando al re delle Salomone di “ottenere sviluppo duraturo preservando allo stesso tempo l’autonomia”. Un augurio con doppio destinatario che non sarà sfuggito all’attenzione di Pechino.

Tutti contro uno

Convergenze parallele. Da soli, Stati Uniti e alleati regionali, non potrebbero nulla per contrastare l’influenza della Cina sulle Salomone. Ma insieme, con ognuno impegnato a offrire ciò in cui è specializzato, aumentano le probabilità di riportare l’arcipelago nella sfera d’influenza occidentale o, in alternativa, di condurlo verso il non allineamento o il multiallineamento.

Il tutti contro uno che gli Stati Uniti stanno applicando nelle Salomone potrebbe funzionare come fallire, poiché forte è l’influenza esercitata dalla Cina sulle Salomone e poiché datato e sincero è il risentimento di quest’ultime nei confronti del colonialismo e del neocolonialismo subito da giapponesi e occidentali. Certo è che, successo o meno, è lecito attendersi una riproposizione di questo formato anche nel resto del “Pacifico conteso”.

L’importanza di chiamarsi Salomone

Le Salomone rivestono un ruolo centrale nella battaglia del Pacifico, la cui natura è esistenziale tanto per Washington quanto per Pechino, per una questione di geografia. O meglio: di geostrategia.

Le aspirazioni di grandezza marittima della Repubblica Popolare Cinese sono inibite, sin dal 1949, da un cordone di accerchiamento contenitivo, il sistema della catena di isole, dalla cui preservazione dipendono la primazia degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico e il possesso del mazzo di chiavi della globalizzazione.

Isole come Taiwan, stati arcipelagici come Giappone e Filippine, stretti come Malacca e avamposti esterni, come Salomone e Palau, costringono la Cina in una dimensione tellurica, ovvero terrestre, ne comprimono la proiezione navale e potrebbero operare, in caso di guerra, come una morsa letale.



Google Maps, o un più tradizionale mappamondo, potrebbe aiutare chi legge a capire perché le grandi potenze sono in gara per le Salomone. Incuneate alla perfezione tra l’arcipelago indonesiano, l’Oceania bianca e il Triangolo polinesiano, le Salomone sono un trampolino di lancio tridirezionale e, in potenza, un avamposto in grado di bucare le prime due cerchie di isole.

La Cina non può sfondare la prima fascia di isole, di cui Taiwan è la colonna portante – ed è per questo, non per i semiconduttori e neanche per la democrazia, che la riunificazione delle due Cine è lo scenario che gli Stati Uniti vogliono evitare by any means necessary –, ma può malleare le acque che la avvolgono – questa è la logica delle isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale – e può cercare di aggirarla siglando delle alleanze periferiche nelle sue retroguardie – da Timor Est alle Salomone.

Gli Stati Uniti non possono né vogliono fermare la strategia delle alleanze periferiche della Cina manu militari, anche perché non è il 1942, ma dispongono di una vasta gamma di strumenti con cui ostacolarla: dalla diplomazia del dollaro alle operazioni ibride. Il dollaro per corteggiare gli ultimi supporter di Taiwan nel Pacifico. Le operazioni ibride, dalle Tonga alle Salomone, per impaurire e/o spodestare chi sta con la Cina.

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