Non è semplice comprendere quanto grande sia la Siberia, un’immensa regione geografica situata nell’Eurasia nordorientale. Si estende per un’area di circa 13 milioni di chilometri quadrati tra gli Urali e il Pacifico. Dal 17esimo secolo, la Russia ha gradualmente imposto il suo controllo sulla regione, che oggi costituisce ben il 77% dell’intero territorio della Federazione Russa, pur ospitandone solamente poco più del 25% della popolazione, 36 milioni di abitanti su 146,8 totali (Crimea inclusa). Per comprendere la sproporzione tra la popolazione e l’estensione di questa gigantesca area geografica, è sufficiente pensare che se la Siberia fosse una nazione indipendente e separata dalla Russia europea, sarebbe comunque il più grande paese al mondo per estensione, ma solo il 35esimo per popolazione. Ma la Siberia ha un’altra qualità fondamentale: la ricchezza di risorse naturali, come acqua, terre coltivabili, legname, gas e petrolio. Infine, la Siberia ha per secoli costituito un punto di passaggio tra oriente ed occidente: controllando la Siberia insieme alla sua parte europea, la Russia si trova infatti a confinare, tra gli altri, sia con la Norvegia che con la Corea del Nord, distanti più di 7500 chilometri l’una dall’altra.
Russia, ma anche Cina
Un altro colosso geopolitico guarda con interesse a questa terra: la Repubblica popolare cinese. Ciò non deve sorprendere e non rappresenta certo una novità. Dal 17esimo secolo, le due potenze si sono confrontate e hanno combattuto per il controllo di questa regione. Nel solo 20esimo secolo, si possono contare almeno due conflitti principali incentrati su questioni legate al confine tra i due paesi, nel 1929 e, soprattutto, nel 1969, a seguito della rottura sino-sovietica verificatasi a cavallo degli anni ‘50 e ‘60. Solo la crisi prima e la disintegrazione poi dell’Unione Sovietica hanno portato a una demilitarizzazione del confine. Nel 1991, uno degli ultimi trattati internazionali firmati dall’Urss riguardava proprio la questione del confine sino-sovietico.
In seguito alla disintegrazione dell’Unione Sovietica, le trattative proseguirono e il trattato fu ratificato dalla Cina e dalla neonata Federazione russa nel febbraio del 1992. Questo era però solo l’inizio di un processo così lungo e difficoltoso da essersi concluso solo nel 2005, con la ratifica dell’ultimo trattato dedicato alla sistemazione del confine sino-russo. Le ragioni dell’interesse cinese per la Siberia sono numerose e vanno ben oltre il semplice prestigio e la sistemazione dei torti subiti in seguito alla firma dei cosiddetti “trattati ineguali” estorti dalla Russia e da altre potenze occidentali, oltre che dal Giappone, tra il 19esimo e il 20esimo secolo. In ogni caso, Pechino sembra avere, come spesso accade, una visione estremamente pragmatica e di lungo termine.
Risorse
È facile pensare alla Siberia come a un gigantesco deserto freddo, vuoto e inospitale, ma la regione è in realtà un gigantesco bacino di risorse: terre coltivabili, legname, cibo, minerali, gas e petrolio sono solo alcuni esempi. Non a caso, la Russia è oggi il principale fornitore di petrolio della Cina, la cui domanda non fa che aumentare. Nel 2019 è entrato in funzione il Power of Siberia, un gasdotto che trasporta il petrolio russo in Cina proprio attraverso la Siberia. Essa dunque non è solo una fonte, ma anche un punto di transito di risorse naturali. In più, con lo scioglimento dei ghiacci, le impervie rotte del Mar Glaciale Artico diventeranno via via più sicure, veloci e redditizie. In considerazione del fatto che quasi metà del Mar Glaciale Artico costeggia la Siberia, si comprende come la regione non farà che guadagnare sempre più importanza nel commercio mondiale, soprattutto per un colosso economico come la Cina.
Commercio
Cina e Russia stanno attualmente investendo soprattutto sulle potenzialità della Siberia come rotta commerciale terrestre. La Russia ha dato via all’Unione Economica Eurasiatica, per ora limitata ad Armenia, Bielorussia, Kazakhstan Kirghizistan e alla Russia stessa. Al contempo, la Cina sta investendo miliardi di dollari per portare avanti la sua iniziativa per una “nuova via della seta”. Tale iniziativa strategica prevede almeno due rotte commerciali terrestri passanti per la Siberia: il c.d. “corridoio Cina-Mongolia-Russia” e il “nuovo ponte continentale eurasiatico”.
Demografia
La Siberia, con soli 36 milioni di abitanti, è una regione scarsamente popolata. Si calcola che nel bacino dell’Amur, il fiume che marca gran parte del confino sinorusso nella Siberia sudorientale, vivano appena un milione di russi a fronte di 40 milioni di cinesi risiedenti appena oltreconfine. La netta superiorità demografica cinese e il costante bisogno di terre e risorse fornisce un’altra efficace spiegazione alle ambizioni cinesi in Siberia.
Incontro-scontro fra titani
La Siberia rappresenta il principale punto di contatto fra Russia e Cina in quanto regione di confine tra le due potenze e punto focale di interessi strategici di lungo termine. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la regione conobbe uno dei momenti di maggior sviluppo, accogliendo la popolazione e l’industria russa messe al riparo dall’avanzata del Terzo Reich, all’epoca apparentemente inarrestabile. Paradossalmente, la fine della Seconda guerra mondiale rappresentò l’inizio di un rapido processo di deindustrializzazione e depopolamento, con il ritorno a ovest, nella Russia europea, di fabbriche, uomini e donne, specialmente i giovani. Tali fenomeni non si sono arrestati con la perestrojka e la fine dell’Urss, e tra il 1990 e il 2010 il declino demografico non ha fatto che continuare. Al di là del confine, decine di milioni di cinesi bisognosi di terra, risorse e lavoro sono pronti a stabilirsi in questo gigantesco spazio semivuoto. Per la prima volta dall’epoca staliniana con le sue epurazioni, i cinesi si riaffacciano in massa in Siberia. Non è chiaro quanti di loro si trovino già nella regione: alcune fonti ufficiali sostengono che non vi risiedano più di 300mila cinesi, ma c’è chi li quantifica in almeno 1 milione e mezzo.
L’insediamento di cittadini cinesi in Siberia è solo uno dei punti di contatto tra Cina e Russia. Tra la caduta dell’Urss e il 2018 sono stati firmati numerosi e variegati accordi di collaborazione economica e militare (nel bilancio commerciale russo con la Cina, la vendita di materiale bellico è la sola voce in attivo). Il gigante russo, bisognoso di capitali e tecnologie, concede alla Cina di sfruttare le ricche risorse siberiane, arrivando persino a far insediare centinaia di migliaia di cittadini cinesi in territorio russo. Se da un lato la Russia ha avuto un certo successo nel ricostruire un profilo di potenza mondiale proprio a Pechino, guadagnando appoggio contro l’espansione della Nato e l’ingresso nell’Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation), essa rischia di trovarsi nella posizione di “junior partner” in cui precedentemente aveva tentato di confinare la stessa Cina prima della già citata rottura sino-sovietica.
D’altro canto, l’Occidente ha fatto ben poco per guadagnare la Russia al campo occidentale, consegnandola così al nascente astro cinese, unica fonte di supporto internazionale, tecnologia e capitali. La posizione russa è stata esposta con grande chiarezza dal politologo russo Sergey Alexandrovich Karaganov, capo del Consiglio per la Politica Estera e di Sicurezza. A suo dire, nel 2008 la Russia ha compiuto una decisiva svolta verso Oriente dopo aver guardato all’Occidente per secoli a partire dal regno di Pietro il Grande, al trono dal 1682 al 1725. Tra il 2012 e il 2013, il presidente Vladimir Putin ha dato vita al Ministero per lo Sviluppo dell’Estremo Oriente e l’Artico, a conferma di tale cambiamento di prospettiva. A coloro che evocano il “pericolo giallo” ricordando le invasioni tataro-mongole del 13esimo secolo, Karaganov ha fatto più volte notare che negli ultimi 5 secoli gli attacchi alla Russia sono sempre venuti da ovest, non certo da est. Egli giunge addirittura a parlare di un’alleanza sino-russa, de facto se non de jure, ma non per questo meno rilevante. Ancora, Karaganov non ha mancato di sottolineare gli errori europei a partire dagli anni 90, che hanno determinato la “svolta ad oriente” della Russia a partire dai primi anni 2000.
Un futuro incerto
Un asse Pechino-Mosca rappresenterebbe certo un potente blocco in opposizione al cosiddetto ordine globale guidato dagli Stati Uniti d’America, unica superpotenza rimasta, ma apparentemente in declino. Tuttavia, proprio dal punto focale di questo potenziale asse, la gigantesca Siberia, sorgono i grandi dubbi sul futuro dell’amiciza sino-russa. Non sono pochi i russi del luogo che si lamentano di essere stati “venduti” alla Cina. Inoltre, la penetrazione cinese non si ferma certo all’oriente russo: il dragone cinese ha saldamente “piantato le zampe anteriori” nell’Asia Centrale, con investimenti per miliardi di dollari. Mosca, in cambio del suo benestare, ha ottenuto l’appoggio internazionale della Cina su molte questioni di estrema importanza, soprattutto per quanto concerne Iran e Siria, oltre che capitali e tecnologie. Sono però in molti a dubitare dell’amicizia tra i due colossi. John Bolton, 27esimo Consigliere per la Politica di Sicurezza di Washington, non ha mancato di “incoraggiare” la sinofobia in Russia
. L’ormai anziano ma influente Henry Kissinger, affidandosi all’antico adagio “divide et impera” e memore dell’apertura alla Cina in funziona antisovietica nel 1972, vorrebbe ripetere l’exploit, ma in modo inverso: aprire alla Russia in funzione anticinese. Karaganov stesso avrebbe dichiarato che la Russia è disposta a cooperare con la Cina, ma che se questa dovesse avere “ambizioni eccessive”, la Russia sarebbe pronta a fare fronte comune con India, Turchia, l’Unione Europea e persino con gli stessi Stati Uniti per mettere un freno a Pechino. Molto dipende, a questo punto, dal futuro della lontana Siberia e dalla capacità occidentale di riguadagnare la fiducia russa.