Lo slogan “Make America Great Again” con il quale Donald Trump ha vinto le presidenziali del 2016 assume maggiore significato con il passare del tempo, dimostrando quanto serie fossero le sue intenzioni in campagna elettorale e quale potrebbe essere il destino degli Stati Uniti se riuscisse ad ottenere una ri-elezione alle prossime, previste quest’anno.
Attraverso una sagace politica economica mescolante protezionismo ed aspirazioni semi-autarchiche, tanto contestata dagli economisti liberali quanto efficace nel raggiungere gli obiettivi, Trump sta rapidamente riscrivendo gli equilibri di potere nel mondo, nella consapevolezza che la globalizzazione si è rivelata esiziale per gli Stati Uniti da un punto di vista economico e che, perciò, va ripensata. L’obiettivo finale è esplicitato nel motto scelto per la corsa presidenziale di quest’anno, ossia “Keep America Great“, perciò le attenzioni della Casa Bianca stanno interessando ogni settore di rilevanza strategica, dallo spazio alle terre rare.
L’ultimo obiettivo: smarcarsi dall’uranio russo e cinese
La battaglia di Trump per fermare l’erosione dello status egemonico di unica superpotenza, conquistato con la vittoria nella guerra fredda, procede a ritmi serrati e si è estesa in un nuovo settore: il nucleare.
Dan Brouillette, il nuovo segretario dell’energia subentrato l’anno scorso al dimissionario Rick Perry, il teorico della “dominanza energetica“, ha recentemente annunciato che il Gruppo di Lavoro per l’Energia Nucleare ha elaborato un “piano programmatico [diretto] non soltanto a rivitalizzare ma a ristabilire il comando statunitense nell’intera industria”.
Il gruppo di lavoro è stato creato su ordine di Trump a luglio dell’anno scorso per capire in quale situazione versasse il nucleare statunitense. Questo mese sono arrivati i risultati, confluiti in un rapporto che ha lanciato l’allarme: il settore sarebbe in pericolo, minacciato dallo sviluppo di un rapporto di dipendenza dalle importazioni di uranio di provenienza russa e cinese, perciò viene suggerito di tagliare queste importazioni per “ragioni di sicurezza nazionale”.
Nello specifico, il rapporto suggerisce al Dipartimento del Commercio di estendere e potenziare il “Russian Suspension Agreement“, che ha introdotto un tetto massimo per le importazioni di uranio russo, impedendo che soddisfino oltre il 20% della domanda del mercato statunitense. La limitazione, la cui scadenza è prevista quest’anno, andrebbe quindi prolungata, mentre il tetto del 20% andrebbe ulteriormente abbassato.
Nel rapporto viene anche proposto di realizzare delle riserve nazionali di uranio destinate a soddisfare i bisogni dell’industria domestica che, così, potrebbe emanciparsi dall’estero. In effetti, i dati danno ragione al gruppo di lavoro: attualmente le miniere di uranio nazionali coprono soltanto un decimo del fabbisogno domestico e, tra l’altro, l’uranio estratto è di bassa qualità, perciò il settore vive di importazioni.
La realtà dietro lo spettro russo-cinese
L’ultima indicazione proveniente dal rapporto è quella di incoraggiare, a livello federale, le attività di ricerca e sviluppo nel nucleare, innovando le tecnologie esistenti, scoprendone di nuove e, soprattutto, per galvanizzare l’estrazione di uranio. Ed è proprio quest’ultimo il settore da cui provengono le maggiori pressioni alla presidenza. Le compagnie Energy Fuels Inc e Ur-Energy Inc hanno guidato il fronte lobbistico pro-nucleare sin dall’inizio dei lavori, evidenziando i rischi di avere Russia, Cina e Kazakistan come maggiori rifornitori dei generatori di nucleare presenti nel paese.
La Energy Fuels Inc è il principale produttore di uranio del paese e, recentemente, ha esteso il proprio raggio d’azione anche nel settore delle terre rare. Sta esercitando pressioni sulla presidenza sin dall’entrata di Trump alla Casa Bianca ma, fino ad oggi, ogni sforzo era stato vano. La compagnia ha, però, saputo cogliere l’opportunità della nuova guerra fredda contro Russia e Cina, puntando proprio sullo spettro di eventuali rappresaglie condotte da parte loro per convincere l’amministrazione ad agire.
I numeri mostrano che il settore dell’uranio è effettivamente sottosviluppato poiché, come già scritto, riesce a soddisfare soltanto un decimo del fabbisogno nazionale, ma è altrettanto vero che la minaccia russo-cinese è stata ampiamente esagerata. Infatti, stando ai numeri forniti direttamente dal Dipartimento dell’energia, è possibile notare come la Russia sia soltanto il quarto rifornitore, fonte del 13% delle importazioni totali, mentre la posizione cinese è talmente irrilevante da essere combinata in una categoria unica con “Niger, Sud Africa e altri” che non rappresenta più del 3% delle importazioni totali.
Trump si era già espresso sul tema, lo scorso febbraio, proponendo un piano decennale dal valore di 1 miliardo e 500 milioni di dollari per la creazione di riserve strategiche e l’ammodernamento del settore, ma il Congresso non aveva dato semaforo verde, rimandando la decisione. La pubblicazione del rapporto, però, ha ravvivato la questione, dando un incredibile impulso ai lavori.
Adesso che la prima fase della battaglia è stata vinta, è lo stesso Brouillette ad aspettarsi la firma di un ordine esecutivo, in tempi brevi, che tenga conto dei dati raccolti dal gruppo di lavoro e dei risultati emersi, tagliando le importazioni di uranio russo e cinese, incrementando gli sforzi per raggiungere un certo grado di autosufficienza e, ultimo ma non meno importante, implementando misure che impediscano a Mosca e Pechino di utilizzare il nucleare per condizionare la politica globale a detrimento degli interessi statunitensi. Economia e geopolitica si mescolano nell’ennesimo scontro fra la prima ed unica superpotenza del pianeta ed i suoi principali sfidanti.