La Cina sta vivendo un vero e proprio incubo. Il coronavirus sembra incontenibile, nonostante gli sforzi adottati dalle autorità e la relativa trasparenza mostrata da Pechino.

Il peggio potrebbe tuttavia non essere ancora arrivato. Un gruppo di ricercatori dell’università di Lancaster ha sciorinato dati che, nel caso in cui dovessero essere confermati dalla realtà, sarebbero a dir poco preoccupanti. Solo nella città di Wuhan, epicentro dell’epidemia, sono possibili fino a 350mila nuovi contagi nel giro di appena due settimane; al momento sarebbero stati identificati appena il 5,1% dei pazienti infetti.

Per contenere l’emergenza il governo ha ordinato la costruzione di due appositi ospedali dedicati al virus 2019-n-CoV a Wuhan, mentre l’amministrazione locale, nel tentativo di limitare la diffusione della malattia, ha bandito la maggior parte dei veicoli, comprese le auto private, dal centro della megalopoli. I media di Stato hanno dichiarato che sono permessi solo mezzi autorizzati al trasporto di approvvigionamenti.

La misura più drastica riguarda però il cordone sanitario esteso dalla Cina per circoscrivere il focolaio di coronavirus nella provincia dello Hubei. Le autorità cinesi hanno precisato che i provvedimenti di isolamento riguardano 56 milioni di persone, cioè quasi l’intera popolazione dell’Italia. La commissione nazionale di Sanità ha inoltre ordinato misure a livello nazionale per identificare i casi sospetti su treni, aerei e autobus. Scatterà l’immediato ricovero per tutte quelle persone che presentano sintomi sospetti.

A caccia di colpevoli

Questo è lo scenario apocalittico descritto. Ma di chi è la colpa di quanto accaduto? Il discorso è molto complesso. La causa principale di una simile emergenza sanitaria può essere imputata a un modello di agricoltura e commercio che il governo non può ancora cambiare. Magari Pechino vorrebbe anche bandire i mercati popolari, imporre severe norme igienico-sanitarie negli eserciti commerciali, vietare certe pratiche sociali, ma al momento non può letteralmente farlo.

O meglio: potrebbe azzardare una mossa del genere, ma così facendo andrebbe a massacrare economicamente milioni e milioni di piccoli commercianti, molti dei quali provenienti dall’entroterra cinese, poveri e ancorati a stili di vita d’altri tempi. A quel punto potrebbe esserci il rischio di una sommossa popolare: un’eventualità che il Partito ha sempre voluto scongiurare.

Sia chiaro, l’alternativa alla repressione totale non è l’anarchia igienico-sanitaria. Il governo ha fatto molto per contrastare costumi riprovevoli, ma controllare 1,4 miliardi di persone è estremamente complicato anche per un sistema politico come quello cinese. La sensazione è che alcune usanze non potranno mai davvero cambiare fino a quanto il miracolo cinese non toccherà concretamente anche gli ultimi cinesi della piramide.

Un problema strutturale rischioso

Pochi decenni fa la Cina era uno dei Paesi più poveri al mondo. Improvvisamente l’ex Impero di Mezzo ha spiccato il volo, con una crescita economica brusca e vertiginosa. Forse troppo veloce. Molti cittadini sono rimasti indietro, soprattutto i residenti delle campagne. Questi cinesi usufruiscono delle nuove tecnologie ma, allo stesso tempo, continuano ad affidarsi a pratiche sociali brutali.

Wuhan è una megalopoli di 11 milioni di abitanti, e come tutte le altre città cinesi, è immersa nella tecnologia. Eppure, in pieno centro, le persone acquistano animali vivi in un mercato popolare, in un luogo dove mancano le più basilari norme igienico-sanitarie e da dove gli esperti ritengono sia partita l’epidemia di coronavirus.

Perché il governo non ha mai pensato di chiudere il mercato di Huanan e tutti i suoi numerosissimi cloni sparsi per tutta la Cina? A causa di un enorme problema strutturale che intrappola Pechino, come ha ben spiegato Francesco Sisci al Sussidiario.net: “I cinesi mangiano di tutto, questo è vero, però i mercati nei paesi sviluppati sono controllati. Controlli che in Cina, evidentemente, non ci sono o sono blandi”.

In altre parole le autorità, “attraverso questi mercati incontrollati, permettono ai contadini di guadagnare qualcosa in più. Le condizioni di produzione in cui versa la zootecnia nelle campagne cinesi sono ancora molto primitive. Non ci sono allevamenti e produzioni su larga scala, che garantiscono maggiori controlli igienici. La produzione è diffusa sul territorio, spesso con norme igieniche fuori controllo, perché i contadini hanno piccoli appezzamenti, allevano pochi maiali o poche vacche”. Basti pensare che ancora oggi il 40% della popolazione cinese vive nelle campagne.